Nel libro di lettura delle classi superiori

Non leggere odi, figlio mio, leggi gli orari.
Son piú esatti. Svolgi le carte di navigazione
prima che sia tardi. Vigila, non cantare.
Viene il giorno che torneranno a inchiodar liste
sulla porta e a chi dice di no dipinger sul petto
qualcosa di uncinato. Impara ad andare
senza esser conosciuto, impara piú di me:
a cambiar quartiere, passaporto, faccia.
Fai pratica di tradimento al minuto,
di sporca quotidiana salvezza. Le encicliche
sono utili per accendere il fuoco
e i manifesti per incartare burro e sale
a chi è senza difesa. Rabbia e pazienza ci vogliono
per soffiare nei polmoni del potere
la fine polvere mortale, macinata
da chi ha molto imparato,
da chi è esatto, da te.

Hans Magnus Enzersberger

1963 – Traduzione di Franco Fortini e Ruth Leiser
da “Poesie per chi non legge poesia”, “Le Comete” Feltrinelli, 1964

TITANiO di Loredana Semantica, Terra d’ulivi edizioni, 2023

Il mio ultimo libro, appena pubblicato. E’ una raccolta di una parte delle poesie scritte nell’arco di un decennio, tra il 2010 e 2021.

La copertina di TITANiO è un’opera dell’artista Anna Ferraresi, (collage e tecnica mista)

Per l’acquisto qui il link al sito della casa editrice, ma lo trovate anche su Amazon, ibs, libreriauniversitaria, mondadori ecc.

Per saperne qualcosa di più foto del libro e sinossi sul sito di Lucaniart.

Lei era stanca

Lei era stanca, stanca d’essere stanca. Stanca d’ essere e anche non essere. Di accendere lampade segrete e segretamente spegnerle. D’essere un fantastico elastico teso allo spasimo. Un bambù scorticato, alluminio raffinato, un coltello affilato con la lama in ceramica. Liscia isterica e bianca. Lei era stanca. Come la gravità, un colpo, uno sparo, un tuono che brontola lontano. Come un corpo che cade a corpo morto. Ormai si lasciava cadere, si abbandonava. La forza d’animo crollava a piombo e il suo crollo trascinava come frana terra gialla e sterpaglia. Era un’arma impropria o ignota. Voleva esserlo. Oltre l’arco e freccia, fionda e sussurro, roteava un martello vichingo. Il suo essere passeggiava in bilico tra il fioretto e il cervello. Teneva per coprirsi un’ombra, un mantello. La proteggeva dalle gocce di merda. Frequentava una nuova angoscia. Non si riconosceva.

Lei era stanca ma anche saggia, sebbene non avesse la barba. E leggere gli echi dell’ego la stancava. Insistenti, acuti, fulminanti. Una chiarità tanto fatata quanto falsa. Credeva o aveva creduto d’essere potente, impotente, subordinata. Ma in fondo non le importava. Era stanca d’essere irretita dalle sue stesse nuvole, sempre più scure e pressanti. Aggressive. Nel pentimento ricamava. Provava il rammarico d’avere attraversato l’inconoscibile, di averlo sfidato ed esserne stata sconfitta. Aveva rotto i sigilli. E ancora era stanca. Di una stanchezza ottusa, trattenuta sul fondo melmoso di un invaso. Distesa supina era inciampata mentre correva inseguita dal cielo, che adesso le è addosso impietoso e la lecca. Lei grida “M’ha raggiunta l’azzurro! M’ha rubato la vita! Guardate le mie povere dita sono crollate, spezzate, sparite”.

Le dita della sua piccola mano erano stalattiti di ghiaccio frantumato. “La mia forza s’è l’ è presa qualcosa” ululava “S’è avventato un animale sul cuore. Guardate sul petto i segni dei morsi, ha dilaniato ciò che volava tra gli atri e i ventricoli.” Forse era vero, forse no, oppure era il sogno di un cane, il fantasma di un drago. Un cespuglio di immaginazione. Non c’era nulla lì attorno, solo vuoto aumentato. Lei franava nelle sabbie mobili del costato, più di prima franava, scontatamente. Confessava anni e anni di peccato, viveva espiando il momento. Era stanca e non desiderava più nulla, nulla che potesse essere desiderato. Le bastava d’essere viva. Una risorsa lasciata, acqua che scorre sul fianco, sul selciato. Un respiro di branchia. Un fossile disseppellito trapanando lo scoglio. Il periscopio che sbuca dal fondo.

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4Orlando R Maria, Aldo Viano e altri 2

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Capodanno di Carlos Drummond de Andrade

L’ultimo giorno dell’anno
non è l’ultimo giorno del tempo.
Altri giorni verranno
ed altre cosce e ventri ti comunicheranno il calore della vita.
Bacerai bocche, strapperai delle carte,
farai viaggi e celebrerai talmente tanti
compleanni, lauree, promozioni, dolci morti con cori e sinfonie,
che il tempo ne sarà pieno e non sentirai lo strepito,
gli ululati irreparabili
del lupo, nella solitudine. L’ultimo giorno del tempo
non è l’ultimo giorno di tutto.
Rimane sempre una frangia di vita
dove possono sedersi due uomini.
Un uomo e il suo contrario,
una donna e il suo piede,
un corpo e il suo ricordo,
un occhio e la sua luce,
una voce e la sua eco,
e chissà perfino se Dio…Accetta con semplicità questa casuale offerta.
Meriti di vivere ancora un anno.
Vorresti vivere sempre centellinando la feccia dei secoli.
Tuo padre è morto, tuo nonno è morto.
Anche in te molte cose sono morte, altre tengono d’occhio la morte,
ma sei vivo. Ancora una volta, vivo,
e col bicchiere in mano
aspetti di albeggiare.Il trucco di una sbornia,
Il trucco di balli e schiamazzi,
il trucco dei palloncini,
il trucco di Kant e della poesia.
Tanti trucchi: e nessuno serve.Sorge il mattino di un anno nuovo.Le cose sono lustre, a posto.
Il corpo liso si rinnova di spuma.
Tutti i sensi svegli funzionano.
La bocca sta masticando vita.
La bocca è intasata di vita.
La vita cola dalla bocca,
impiastriccia le mani, il marciapiede.
La vita è pingue, oleosa, mortale, surrettizia. 

traduzione di Antonio Tabucchi, Einaudi, 2013

A proposito d’amore

A proposito d’amore volevo dire
di non arrendersi alla nebbia dell’io
allo sconforto alla vanità delle pretese
al solletico delle corde ai preconcetti
edificati da voi stessi o dagli altri
di amare sempre intensamente
anche perdutamente
perché nei disegni celesti infiniti
l’amore torna sempre
senza vincolo di sembianza o forma
in modalità inaspettata e sorprendente
con la stessa intensità della spesa
e vi riempie di gioia infinita
preferibilmente segreta
meravigliosamente.

Ora scartato il cioccolatino
mangiate pure la verità
del bigliettino.

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