Dovrei raccontare le tue stesse cose
quel contemplare deviato da distrazioni
collocate nei luoghi più impensati
dove si scatenano pensieri
inanellati in lunghe catene di cobalto.
Dovrei dialogare al tuo stesso modo
con il pezzo di vetro lucente occhieggiante
a lungo dimenticato nell’angolo sepolto
tra la porta della cucina e lo scaffale
stipato di innumerevoli cose utili affastellate
dire dell’arte del rinvio e dell’attesa
dell’ordine scompigliato continuamente
da nuove priorità di un tempo governato
dall’insufficienza celestiale.
Dovrei poi scrivere una poesia come la tua
aperta alla penetrazione di molteplici sensi
nel verso lungo e particolare dell’ attenzione
onorare la lingua della lentezza e del quotidiano
piegarmi a raccogliere ogni frammento
porre l’ultimo dinnanzi a me sul tavolo pregiato
osservarlo con raccolta attenzione di scienziato
vedere la timidezza del vento l’ampiezza
del cielo sul lato destro tagliente
infine assaporare lo specchio di me
la potenza uguale del creato.