Visitando Elisa. Ho scritto un racconto.

Beethoven Frieze, 1902, Gustav Klimt

Ho scritto questo racconto rispondendo ad un’iniziativa di Valter Binaghi sul suo sito, l’iniziativa non la ricordo, Valter Binaghi invece sì, anche se lui adesso non c’è più. Anche il suo sito non è più visibile, ad ogni modo il racconto è ancora qui.  

Elisa aveva deciso di diventare infermiera da bambina, rincalzando coperte alla sua Priscilla e tappezzandola di cerotti. Priscilla, bambola bellissima e sfortunata, aveva sempre qualche buco da rattoppare o qualche braccio da avvitare.

Elisa era sempre pronta a darsi da fare per medicare la sua Priscilla e questo impegno le piaceva a tal punto che sin da allora aveva pensato di farne il lavoro di quando sarebbe diventata grande.

Così Elisa era diventata infermiera all’Ospedale San Giacomo di Villermosa. Continua a leggere “Visitando Elisa. Ho scritto un racconto.”

The man who planted three

Tratto da wikipedia

L’uomo che piantava gli alberi (titolo francese "L’homme qui plantait des arbres"), conosciuto anche come "La storia di Elzeard Bouffier, Il personaggio più straordinario che io abbia mai incontrato" e "L’uomo che piantò la speranza e raccolse la felicità", è un allegorico racconto dell’autore francese Jean Giono, pubblicato nel 1953.

Racconta la storia di una lunga, paziente, solitaria opera di un pastore e del suo impegno per la riforestazione di una valle desolata, ai piedi delle Alpi vicino alla Provenza nella prima metà del 20 ° secolo.

Il racconto è molto breve, circa  4000 parole . continua a leggere

Qui ho pubblicato, ripresi da youtube, i tre video del racconto animato.

http://semantica.splinder.com/post/21758422/L%27uomo+che+piantava+gli+alberi

http://semantica.splinder.com/post/21770252/L%27uomo+che+piantava+gli+alberi

http://semantica.splinder.com/post/21779620/L%27uomo+che+piantava+gli+alberi

I limiti dell'arte

tratto da qui

I limiti dell’arte

di Massimo Rizzante

A
Definire i contorni delle parole è diventato un compito difficile, soprattutto da quando le specializzazioni e i gerghi hanno invaso ogni campo, confondendo le frontiere delle arti e in particolare dell’arte letteraria. Parole come «contaminazione», «riscrittura», «riuso», «intertestualità» hanno fatto il giro del mondo in bocca a critici raffinati, precipitando poi nei manuali, per diventare, infine, luoghi comuni nelle tesi degli studenti più scaltri. Danilo Kis diceva che la letteratura dovrebbe essere «l’ultimo bastione del buon senso». Che cos’è, si chiedeva, un sonetto d’amore se non «un isolotto sul quale possiamo posare il piede» in mezzo alla palude dei gerghi?

B
Una parola a cui tengo è la parola «atelier». Significa «bottega» o «officina» ed è tanto antica quanto l’arte. Forse per questa ragione è così piena di mistero e allo stesso tempo suona alle nostre orecchie di mercanti del XXI secolo un po’ démodé. Questa parola ci ricorda che l’opera è il prodotto di una τεχνη, di un saper fare. La storia di un’arte è la storia di un sapere, di una «messa in opera» su una materia definita. Ora, il sapere implica un potere, e questo potere è il concentrato di due forze: del «talento», altra parola un po’ démodé, di colui che si è messo all’opera e del suo sforzo di superare la resistenza della materia. Il poeta non è qualcuno che ricerca, ma piuttosto qualcuno che inventa, nel senso che i latini davano alla parola «invenzione», cioè quello di «scoperta»: egli scopre in atto un aspetto ignoto di ciò che «in potentia» appartiene alla «natura umana». continua a leggere

Tutto è luce bianca

Tutto è luce bianca

dalle sclere i bulbi gli occhi

lucenti le pupille

fiotti dalle palpebre

le ciglia.

Tutto è benedetto

nel silenzio esatto

dei miei sguardi è

come pianto come foglie

come  aghi nella carne

come  

un brivido di schianto

il tetano che avanza.

La sintesi di una vita

tratto da lapoesiaelospirito

di Vito Mancuso

Nei primi mesi del 1916 Ludwig Wittgenstein, volontario nell’ esercito austriaco, si trovava in Galizia sul fronte orientale col reggimento impegnato a sostenere il più grande attacco nemico, la cosiddetta Offensiva Brusilov. In mezzoa perdite altissime la sua azione dovette essere di un certo rilievo visto che il 1° giugno venne promosso caporale e il 4 decorato al valor militare. Pochi giorni dopo, l’ 11 giugno, colui che diventerà uno dei più grandi logici e filosofi del Novecento, annota sul suo quaderno: «Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio. Pregare è pensare al senso della vita». Io penso che per ogni essere umano la vecchiaia sia paragonabile a una trincea della Prima guerra mondiale. Sono finite le cerimonie, le marce, le sfilate, gli inni, le retoriche che fanno da preambolo non solo alla vita militare delle retrovie, ma anche alla vita quotidiana nella gran parte dei suoi momenti. Giunge il momento del redde rationem, il leopardiano «apparir del vero». continua a leggere

Litania ultima

Per quella dolcezza prostrante

che è il tuo nome

mai pronunciato eppure

venerato d’azzurro sulle mani

per l’ineffabile bellezza tua di voce

per la vista spossata

per la disfatta inveterata

per due righe di giudizio.

Per il cozzare delle scaglie

l’intento sacro la paura

il bosco oscuro l’armatura

per lo svettare delle lame

il rovinare delle biglie

l’insieme arrotolato di parole.

Per la pioggia il vento il sole

per la stagione del corallo

per le foglie ammucchiate

sopra il cuore

schiacciato vinto oppresso

dai giornali.

Per un salmo mai dettato

una preghiera di salvezza

per l’attesa di poggiare

il capo sulla sedia  e

le tue sante ginocchia.

 

L’ultima litania da recitare.

 

Solitude

foto SalaBoli flick’r

Siamo satelliti del vuoto

candele buie nella notte

lattee, lanuginose

solitarie sfilacciate infine

tremolanti come polsi in tachicardia

conduciamo i nostri corpi

verso il nulla delle ossa

come pronte al salto

in un caveau di luce

dentro uno specchio colmo

i nostri occhi scoperti

dolci nel silenzio degli assiomi

neri sul sagrato incatenato

soli tra i veli opachi delle ombre

per la moltitudine dei quanti

intrisi e a noi fratelli

in solitudine.

da un intreccio di sinapsi poetica con A Taravella

L'acqua non è un bene privato

tratto da qui

Si tratta della definitiva consegna al mercato di un diritto umano universale

IMPEDIAMOLO !

Con un decreto del 10 settembre scorso il Governo regala l’acqua ai privati: sottrae ai cittadini l’acqua potabile, il bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati.

Oltre 400.000 cittadini hanno sottoscritto una legge d’iniziativa popolare per l’acqua pubblica, che riconosce il diritto all’acqua ma la proposta giace da due anni nei cassetti delle commissioni parlamentari.

Entro il prossimo 24 novembre, il decreto che privatizza l’acqua potrebbe diventare legge.

Si tratta della definitiva mercificazione di un bene essenziale alla vita

Si tratta di un provvedimento inaccettabile!

Pertanto, noi firmatari del presente Appello chiediamo:

continua a leggere

La malattia creativa

di Marco Ercolani

Uno stralcio estratto tratto da qui

In ogni caso, il folle parla sempre ed esclusivamente del suo dolore. L’artista, invece, non parla mai solo di sé. «Da secoli e millenni, in ogni luogo e paese, – scrive Michaux – l’alienato soffre. Dice che vive accanto al suo corpo. Che il suo corpo è altrove. Che glielo hanno rubato. Che porta con sé un cadavere. Che il suo corpo è vuoto. Che lo si è cambiato. Che è un morto vivente. […] Dice che non pesa più niente, che è un angelo, non più che un pallone o una palla, […] che è trasparente, che è di vetro! E ha paura di frantumarsi. Dice che è vuoto, trasformato in bambola, che non ha organi, intestini, stomaco, che di conseguenza non deve mangiare, che è artificiale, truccato, che un altro occupa il suo corpo». La materia di questa sofferenza, vissuta singolarmente, è la stessa materia che sostanzia le visioni, le descrizioni, le riflessioni dell’artista contemporaneo. Se la condizione creativa non è poi troppo lontana da quello stato borderline in cui si fantastica la creazione di un mondo ulteriore, è altrettanto vero che ogni volta il problema è la forma: una forma che dia senso, ragione e spietatezza al folle discorso che la genera. L’atto artistico è l’accordo momentaneo fra creazione e dissolvimento, la ‘messa in opera’ di quella tempesta creativa che, se vira nel dolore personale, diventa dissociazione e delirio, si letteralizza; ma se, invece, cerca una sua realtà universale ed esprimibile, diventa opera continua a leggere 

Accarezzami amore

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.

Alda Merini, poetessa, nata a Milano nel 1931, morta a Milano il 1° novembre 2009

In chiodo

E’ l’infante che risucchia. Bocca avvinta alle sue tette. Femmina all’incirca piena rara ricca estrema. L’assemblaggio suo di carne. Morbida di linee. Lunghe spire curve enormi. Di tentacoli o ventose. Braccia circolari. Io l’assisa tu lo schiavo. Casto sia l’abbraccio. Umido di lingua. Larga fetta intonsa franta. C’è il ricatto della scena. C’è l’incontro pronto e cotto, coi cerotti neri e rotti. Sessi proni, gambe larghe. Baci radi e deragliati. Se i contatti rastrellati sono cento, anelli, impianti. Sia bastardo il molo sazio, sia profondo il tonfo a scatto. L’amicizia sia tradita, l’avarizia della strada. Parte laida e trasferita. Stampa santa di parola che riempie, sfonda emerge. Preme pronta sorge immensa. L’acqua s mossa sia più sporca. Sia gettata tutta intera dove sboccia il parto e scocca. E’ una piccola vendetta. Insensata che ti sfugge. Rotolando tra i capelli scivolando dalle dita. Dentro il sangue che ribolle, l’arte aliena, spugna spurga. Non il sole nei travagli, non le stelle né la luna, non l’esilio né l’approdo, resta saldo il solo inchiodo.

 

E' morta Alda Merini, una vita di poesia

la Repubblica.it
MILANO – E’ morta a Milano la poetessa Alda Merini. Aveva 78 anni. Era ricoverata all’ospedale San Paolo da una decina di giorni per un tumore osseo. Viveva in condizioni di quasi indigenza (una scelta di vita basata su una sorta di "noncuranza") tanto che i pasti quotidiani le venivano portati dai servizi sociali comunali. Ha cantato gli esclusi e ha vissuto sulla sua pelle una delle peggiori forme di esclusione: la malattia mentale.  Leggi ancora

http://tv.repubblica.it/copertina/merini/38577?video

 

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