Lei era stanca

Lei era stanca, stanca d’essere stanca. Stanca d’ essere e anche non essere. Di accendere lampade segrete e segretamente spegnerle. D’essere un fantastico elastico teso allo spasimo. Un bambù scorticato, alluminio raffinato, un coltello affilato con la lama in ceramica. Liscia isterica e bianca. Lei era stanca. Come la gravità, un colpo, uno sparo, un tuono che brontola lontano. Come un corpo che cade a corpo morto. Ormai si lasciava cadere, si abbandonava. La forza d’animo crollava a piombo e il suo crollo trascinava come frana terra gialla e sterpaglia. Era un’arma impropria o ignota. Voleva esserlo. Oltre l’arco e freccia, fionda e sussurro, roteava un martello vichingo. Il suo essere passeggiava in bilico tra il fioretto e il cervello. Teneva per coprirsi un’ombra, un mantello. La proteggeva dalle gocce di merda. Frequentava una nuova angoscia. Non si riconosceva.

Lei era stanca ma anche saggia, sebbene non avesse la barba. E leggere gli echi dell’ego la stancava. Insistenti, acuti, fulminanti. Una chiarità tanto fatata quanto falsa. Credeva o aveva creduto d’essere potente, impotente, subordinata. Ma in fondo non le importava. Era stanca d’essere irretita dalle sue stesse nuvole, sempre più scure e pressanti. Aggressive. Nel pentimento ricamava. Provava il rammarico d’avere attraversato l’inconoscibile, di averlo sfidato ed esserne stata sconfitta. Aveva rotto i sigilli. E ancora era stanca. Di una stanchezza ottusa, trattenuta sul fondo melmoso di un invaso. Distesa supina era inciampata mentre correva inseguita dal cielo, che adesso le è addosso impietoso e la lecca. Lei grida “M’ha raggiunta l’azzurro! M’ha rubato la vita! Guardate le mie povere dita sono crollate, spezzate, sparite”.

Le dita della sua piccola mano erano stalattiti di ghiaccio frantumato. “La mia forza s’è l’ è presa qualcosa” ululava “S’è avventato un animale sul cuore. Guardate sul petto i segni dei morsi, ha dilaniato ciò che volava tra gli atri e i ventricoli.” Forse era vero, forse no, oppure era il sogno di un cane, il fantasma di un drago. Un cespuglio di immaginazione. Non c’era nulla lì attorno, solo vuoto aumentato. Lei franava nelle sabbie mobili del costato, più di prima franava, scontatamente. Confessava anni e anni di peccato, viveva espiando il momento. Era stanca e non desiderava più nulla, nulla che potesse essere desiderato. Le bastava d’essere viva. Una risorsa lasciata, acqua che scorre sul fianco, sul selciato. Un respiro di branchia. Un fossile disseppellito trapanando lo scoglio. Il periscopio che sbuca dal fondo.

Tutte le reazioni:

4Orlando R Maria, Aldo Viano e altri 2

Commenti: 3

Mi piace

Commenta

Condividi

Blog su WordPress.com.

Su ↑