Sono pesi queste mie poesie di Nika Turbina

Sono pesi queste mie poesie,

pietre spinte lungo una salita.

Le poterò stremata

allo strapiombo.

Poi cadrò, viso nell’erba,

non avrò lacrime abbastanza.

Smembrerò la strofa

scoppierà in singhiozzo il verso

e si pianterà nel palmo

con dolore anche l’ortica.

L’amarezza di quel giorno

tutto trasmuterà in parola.

Nika Georgevna Turbina, poetessa, nata a Yalta il 17 Dicembre 1974 morta suicida a Mosca l’11 maggio 2002

 

C'eri tu

C’eri tu

lì sopra il sale

un’erta bianca di parole

c’eri tu che sorreggevi

la voce roca a fibrillare

l’accento insaziabile del corpo

acuto ad ingoiare

l’impasto partorito tra le braccia

la forma magmatica del pane.

 

Eppure molle senza freni

lascito marcito felci enormi

l’astratta meraviglia

resisteva il golfo ad ogni spinta

gorgogliava il sangue di tremore

il verso si slanciava oltre

castelli sovrastanti il cielo

il suo rumore

 

 

Sviscerato poemetto

Soffiano le vostre lingue

sibilanti dentro gli otri

vogliose di foglie da staccare

ai rami alti dell’albero dei frutti

profanare la sagoma del corpo

per spossessamento dell’involto

mal di vuoto che spalanca dentro

spandendo  avverbi  e congiuntivi.

 

Non ci sono più vene nel cervello

né vanesio desiderio d’apparire

di mostrare la lingua umida a leccare

scenari vellutati e piedistalli

non il fianco da prestare

a cataloghi etichette

né targhette da incollare sulla fronte

nel registro del dominio societario

per pretesa ributtante di controllo.

 

E se pure avesse luce un giorno

l’atteso tempo dell’epifania

(ecce formica mondo) nel sogno

ben poco avrebbe vita oltre le scarpe

forse soltanto l’enormità del pianto

che al palato affiora dissanguando

il cuneo che s’incastra lento

a scardinare la poesia e la bocca

aperta esattamente al centro  

della breccia dilatata dello scempio.

 

Direi che sono scorie le parole

per anelito d’eternità sconfitto

in pasto all’iperego dell’autore

nudo verme in terra sillabante

che non bastano tre dita

lanciate verso il sole a velarne il viso

a ricoprire il solco della carne.

“C’è un dolore” di Emily Dickinson

There is a pain – so utter –
It swallows Being up –
Then covers the Abyss with Trance –
So Memory can step
Around – across – upon it –
As One within a Swoon –
Goes safely – where an open eye –
Would drop Him – Bone by Bone –

 

Emily Dickinson

C’è un dolore così assoluto

da ingoiare l’Essere

quando l’abisso si copre d’apatia
e la memoria può passarvi

oltre intorno attraverso
come chi immerso nel delirio

va sicuro dove l’occhio aperto
lo fa a pezzi osso dopo osso.

 

Traduzione by Semantica

Iissimo

Diventerò bellissima

di occhi grandi mandorlati

d’ovale in palpebre allungato

le ciglia nere allungandosi di tanto

faranno  la pupilla languida e profonda

diventerò bellissima nella pelle bianca

del viso consumato

di una bellezza non solo graziosa

luminosa

sfollata attraverso gli orizzonti

di buche scarti schianti ponti

di una bellezza che ha nuotato

le schiere dei bulbi arroventati

e tra i marosi dell’amianto

diventerò bellissima

nell’ascesi purissima del bianco

scalando le montagne con le ali

ruotando senza sosta il tornio

del fuoco circostante

e fonderò di sale le mie vene

digiunando.

Striscia

 

Investimi di te

di questo tuo fervore eccelso

che scava in piena terra getti

ribollenti di rivolta

donami le frecce di salvezza

l’arco dalle punte avvelenate

versa nel mio sangue

la fame dei diritti sacrosanti

ed urla a questo mondo

la pena dello scempio

lancinante.

 

I corpi dei bambini uccisi

inanimati come bambole

di carne

le ferite sulla pelle di velluto

i capelli d’angeli arruffati

e gli occhi aperti laghi

fissi sul costato.

 

Dammi nella bocca sante le parole

che siano fermento di catarsi

germoglio in migliaia per le strade

innalzino al vertice l’aurora

fa che per cento corra

e cento ancora

il bene e la palma

della pace.

Sviscerato opposto

La curiosità è di sapere

spinta santa a cosa eccelsa

l’invenzione la scoperta

l’arco dopo la tempesta

ma non è questo lo scenario

quanto nido incatramato

grumo scarto nembo di travaglio

sensi interminabili sospesi

tra precipizio e rami

dissennati.

 

E ritornate al masso lacerato

insistenti e biechi come spilli

protestate il possesso dell’essenza

coniugando impatti a denudare

e domande inferte come spade.

 

Rostro insano è il vostro succhiare

empio immondo e senza freni

l’apice del sacco cerebrale

forma di midollo scanalato

scavato da tremila buchi

e da millenni di conati.

 

Eppure lo sapete

pulsano di sangue

le parole agli angoli del labbro

se lasciate andare.

Obama diventa presidente e il sito della Casa Bianca cambia subito look

Corriere della Sera.it
WASHINGTON – Eccola la nuova «era» promessa da Obama. Anche su Internet. Appena un minuto dopo il giuramento, il sito ufficiale della presidenza degli Stati Uniti WhiteHouse.gov appariva con un nuovo look. Macon Phillips, direttore dei New Media per la Casa Bianca, nonché uno di coloro che contribuirà al blog, spiega la svolta: «Il nuovo website della Casa Bianca servirà come luogo in cui Leggi ancora

Sviscerato seguito

Vorreste voi la donna

quell’essere mai visto

vederla come fosse

divina cosa o mostro

fenomeno da circo

bestia rara.

Vorreste l’epifania del volto

che si nasconde al mondo

per pudore.

Ma il verbo non è ostia

spezzata come il pane sull’altare

non può donare uva oltre misura

versare sangue al corpo e vino

pompare occhi ai seni gonfi

vestiti ai semi bianchi e denti

mostrar la lingua la struttura

i capelli arricciolati l’andatura

il gesticolare a punte mosse

trenta spalle ad ali di farfalla

la forma delle mani piccole

e sfruttate

le unghie minime mai avanti

il giro tondo della bocca

che forma in “o” le labbra

da bambina.

Sviscerato inizio

La polpa che ho già dato

è tanta

è neve carne fuoco

consegna in vita fiato

è sviscerato

tutto quanto posso

e oltre

è amore è morte.

Obsession

Ossessione era il lampo

fiorito di spine tra le costole

affiorate schiumando sulla bocca.

L’incanto era il giorno di Pasqua

una tavola imbandita per la festa

i parenti  tutti in concerto

a presenziare

la sedia vuota sulla quale

materializzato dall’intento

per desiderio spasmodico

di sangue sorgeva un corpo

impercettibile sagoma di bianco.

Un mistero come gli altri

non riuscissero a vedere

l’arpa armonica spezzata

la curva spiovente delle spalle

le orbite divelte a cucchiaiate

gli atomi impazziti nella stanza

di luce vorticante

che recavano ogni tanto

un poco di sollievo

al respiro insostenibile

strozzato tra le gambe.

A sé stesso di Giacomo Leopardi

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,

In noi di cari inganni,

non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia

 la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta ormai. Dispera
l’ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Ormai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l’infinita vanità del tutto.

dai Canti di Giacomo Leopardi, poeta, filodofo, filologo italiano, nato a Recanati (Macerata) nel 1978, morto a Napoli nel 1837

Ombre ho nel sangue

Ombre ho nel sangue

che accerchiano le valvole

onde emettono vampire

che lontane poi vicine 

aggrediscono l’orecchio

sorde e vaghe come suoni

fischi assurdi come treni

in continuo labirinto

gallerie nel mio cervello

verso il centro dell’interno

per la corta giugulare poi

sprofondano nel cuore

topi in tana corde lise

trucioli di ferro da piallare

segatura del pensiero

sbriciolato tra le spire.

Cenere d’ebano nel mare.

La poesia di Pablo Neruda

Fu a quell’età…Venne la poesia
a cercarmi: non so, non so da dove uscì,
da quale inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole, né silenzio,
ma da una strada mi chiamava, dai rami della notte,
all’improvviso tra gli altri,
tra fuochi violenti
o mentre rincasavo solo
era lì senza volto
e mi toccava.

 

Io non sapevo che cosa dire, la mia bocca
non sapeva
chiamare per nome
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa pulsava nella mia anima,
febbre o ali perdute,
e mi formai da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi il primo verso vago,
vago, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza
di colui che nulla sa,
e vidi all’improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni  palpitanti,
l’ombra trafitta,
crivellata
da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente, l’universo.

 

E io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai insieme alle stelle,
e il mio cuore si distese nel vento.

 

di Neftalì Ricardo Reyes Basoalto più noto come Pablo Neruda, poeta e diplomatico cileno, nato a Parral nel 1903, morto a Santiago nel 1973. Nobel per la letteratura nel 1971.

 

Senza un grazie

Corridoio a passi fermi

col bicchiere pieno in mano

ingoiando lo spumante

tra la gola e il lavandino

come un brindisi di striscio

nel bisogno isolamento

dentro un volo sempre alto

con le ali grandi immense

gli occhi in cima agli orizzonti

smisurati nel respiro

che fa vita e muore il cuore.

“Noi non sappiamo” di Emily Dickinson

We never know how high we are
Till we are asked to rise
And then if we are true to plan
Our statures touch the skies –

 

The Heroism we recite
Would be a normal thing
Did not ourselves the Cubits warp
For fear to be a King –

Emily Dickinson

Noi non sappiamo mai quanto siamo alti
finché non ci chiedono di alzarci
ed allora se siamo conformi al progetto
le nostre stature toccano i cieli

 

Sarebbe per noi cosa normale

vestire i panni degli eroi
invece di ridimensionarci in cubiti
per paura di smisurare in Re

traduzione by Semantica

Vanesia

Se dovessi dire questo nuovo male

userei parole strane

dimenticanza  pazza falsa occasione

sacrificio esasperato che non paga

senso di colpa inutile e tardivo

che tagliente si converte in pura fame.

 

Direi che la scena è sempre piena

di icone agghindate per la mostra

palcoscenico vestito per la festa

vanità che d’eco orgoglio

è conclamata.

 

Amor proprio che s’involve

in gradiente nel meschino

vuoto osceno abisso nero

metamorfosi puttana

cupo rivolo sfacelo

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