Livide le mani

Livide le mani e dita

nere a premere

scapole convesse

come rebbi di forchette

concavi cucchiai e altre

forme di stoviglie

appiccicate addosso

liquide ventose dentro

la tovaglia a quadri

borchie di metallo

graffi piume svolazzanti

unte ali chiodi in pelle 

pugni stretti concitati

bocche aperte a perdifiato

rosso rapido affannato

morso dove battono le lingue

tese ad arco strofinato

la saliva l’umidore

eccitato il collo

lenti colano i sudori.

 

Sul margine smerlato

L’ispirazione esala dalle crepe. Linee azzurre come vene cave in superficie. Scorre sangue dentro i palpiti del fiotto. Rotti alla deriva navigano i mostri. Nei cunicoli dei muscoli, anse, roghi fossili, cerchi di betulle. Streghe che si affollano curiose, volgendo scherni al vivere malato. Scriveremo d’alghe accantonando il passo, scriveremo il fiume denso, il senso che si avvale, l’alba bianca all’orizzonte. Scriveremo lettere di fonte a risalire depurando la corrente. L’immondo sfonderà le occhiaie, il guscio, i granchi abbarbicati fracassandoli col rostro. Muoveranno tentacoli a ventosa e sarà melma gorgogliante risalente su dal fondo. Echi, anelli, cerchi da sventrare. Catene rigogliose nei capelli e l’erba avrà il profumo dei rintocchi. I martelli che battono le ore,  lampi di veleno a spremere di nero, a sbattere persiane, lastre, buche enormi, fondi da svuotare. Succhiano promesse quelle uguali bocche immense alimentate e sporche. Vuoto dove il cibo manca neanche offerte. Gambe secche, costole nei graffi, voli caldi e mosche dentro gli occhi. Labbra asciutte che si spaccano nel sole. Masse in forni e rovi gialli. Chili di risposte dirottate. Un corpo secco supino sulla curva. Soffia un vento strano, molle. Immobile la sabbia al limite impazzisce sul margine smerlato della pelle.

Sovversiva è la parola

tratto da qui

II foglio come luogo della sovversione e del bianco

Sovversivo è il foglio su cui la parola crede d’accamparsi; sovversiva è la parola attorno alla quale il foglio dispiega il suo bianco.

Un passo nella neve è sufficiente a scuotere la montagna.

La neve ignora la sabbia. Eppure in tutte e due è il deserto.

continua a leggere

In ogni luogo il vento

In ogni luogo il vento

arrivava col silenzio

al suo passaggio come luci

si spegnevano le voci

quasi le assorbisse dentro

ad una ad una costruendo

un enorme scatola di vuoto.

 

The dead

http://www.bcactionpoet.org/the%20dead.html

The dead  are always looking down on us, they say.
while we are putting on our shoes or making a sandwich,
they are looking down through the glass bottom boats of heaven
as they row themselves slowly through eternity.

They watch the tops of our heads moving below on earth,
and when we lie down in a field or on a couch,
drugged perhaps by the hum of a long afternoon,
they think we are looking back at them,
which makes them lift their oars and fall silent
and wait, like parents, for us to close our eyes.

Billy Collins

Now and then

Now and then

This poet of the Tsong dynasty is so miserable
The wind sighs
A single swan passes over head
And he is alone on the water in his skiff
If only he appreciated life
In eleventh century China
As much as I do
No loud cartoons on television
No music from the ice cream truck
Just the calls of many birds
And the steady flow of the water clock

Billy Collins

Ora e allora

Questo poeta della  dinastia Tsong

è così infelice.

Soffia il vento

un singolo cigno  passa nel cielo

egli è solo nella barca sull’acqua 

chissà se ha apprezzato la vita

del secolo undicesimo in Cina

come l’apprezzo io

senza cartoni  gridati in televisione

senza musica dal camion del gelato

solo i richiami di molti uccelli

e il flusso costante di un orologio ad acqua

traduzione di Loredana Semantica

Billy Collins, poeta, nato a New York nel 1941, vive a New York

Tauromach-io

Non farfalla o falena

o usignolo

non immensa balena vibrante

o  ape ronzante o zanzara

non cavallo sfrenato al galoppo

o cane o gabbiano o leone

non gazzella né lupo

non orso o serpente

né mosca io sono

non verme davvero lo giuro.

Invero principalmente non sono

ma per essere almeno qualcosa

infinitesima cosa rivolta

una voce io sono

dell’eco a rimbalzo

inutile rocca d’eccelso

a picco di schianto nel lago.

Un mare echeggiante

di labbra nei suoni

gli spruzzi a schizzare parole

a frotte affollate sugli occhi

sulle palpebre chiuse le ali

gli uccelli impazziti

la notte.

 

La via del mare di Manuel Cohen

tratto da qui

Da: Manuel Cohen, La via del mare (inedito)

 

                (detto per lei)

la porterai sulle lingue
di sabbia o di brughiera
dove un vento di marzo
muove la corsa verso il mare

 

la lascerai danzare
                         le darai
indizi incerti altre tracce
forse sahara saprai dirle
che in arabo sta per nulla
gorée forse un’isola
un’ingiuria una bugia
per negarle la voragine
                               per non dirle
che ricominciano le cacce
tra i rami e i nidi
per non sentire
spari tra foci e rive (echi poche
d’archi, rare voci e fioche)

più lontano, più vicino

Manuel Cohen, poeta, nasce ad Urbino nel 1967 e vive tra Roma e Bruxelles

Bianco

Rimase tra le bozze impubblicato

il pensiero della notte

vaghe righe enormemente aperte

spazi briglie tagli sovrapposti

dove irraggiungibile

bianco il sonno si contorce

al buio di tormenti indefiniti

spine dubbi atroci cicatrici

bocche urlanti nelle orecchie

la fame spalancata di silenzio.

La rifrazione luminosa della poesia

Tempo addietro, durante la mia collaborazione con “Rossovenexiano”, avevo elaborato sul tema “Che cos’è la poesia?” questo mini saggio, lì pubblicato il 2 marzo scorso. Di recente, avendo letto che l’iniziativa “Poeti” promossa da Lietocolle e curata da Anna Maria Farabbi, aveva nel suo primo foglio come tema lo stesso argomento, ho ripreso quel mio scritto, l’ho rielaborato, ampliato e, col titolo La rifrazione luminosa della poesia l’ho proposto come mio contributo all’iniziativa di Lietocolle.

Adesso il mio scritto è pubblicato integralmente qui . A seguire lo riporto.

La rifrazione luminosa della poesia

di Loredana Semantica

Nell’amore o ricerca o desiderio di un amore assoluto e indicibile si consuma tutta un’esistenza. E l’amore avrà vita in questa ricerca alle radici del sé e dell’esistenza per purissimo sopralzo com-passionevole verso l’ente o il fare (farsi parola ad esempio).

 

Rispondere alla domanda che cos’è la poesia non è semplice. Non lo è se con la domanda s’intende semplicemente distinguere tra il genere letterario poesia ed altri generi d’espressione verbale, ma il livello di difficoltà s’accresce enormemente quando, chiedendosi cos’è la poesia, si voglia trovare un criterio di valore, di pregio, di selezione, si voglia tracciare uno spartiacque tra ciò che merita il titolo di poesia e ciò che invece ne resta fuori.

Se ci si ferma all’intento di distinguere la poesia da altri generi letterari di comunicazione è illuminante leggere l’intervista del poeta Franco Fortini [1]

Ho accolto e reso mio il pensiero di questo autore nei passi  in cui egli definisce la poesia insistendo particolarmente sull’aspetto formale. E’ da questo suo convincimento che io ho tratto il mio semplice  convincimento, che è poesia l’insieme di parole disposte in particolare architettura (versi, strofe, spaziature ecc.) che riescono a comunicare attraverso i segni: significati e significanti.

La poesia si riconosce graficamente per la particolare disposizione del testo, si riconosce alla lettura per la particolare scansione acustica indotta dal verso e per altri elementi sonori del corpo testo (assonanze, allitterazioni, omofonie rime, pause ecc.),  si riconosce per l’intento di comunicazione.

Le espressioni poetiche non disposte in versi restano perciò collocate nella categoria affine della prosa poetica.

Il fonema (segno scritto o suono verbale) è il significante, in grado di richiamare alla mente un’idea che è il significato [2]. Nel testo poetico l’impiego dei significanti avviene nel tentativo di esprimere con essi verticalizzazioni ed amplificazioni che fioriscono d’ intensità, complessità, concetti, profondità, sentimenti, immensità, che, tra l’altro, manifestano da un lato il tentativo d’afferrare e condividere il bisogno d’assoluto che accomuna ogni essere umano, e dall’altro partecipano al mondo messaggi – forse di bellezza? – perché esso ne sia pervaso, sconvolto, ammirato.

Questo fa di un testo poesia. E’ per questo che “la vera poesia può comunicare prima ancora di essere capita” [3].

Quanto più l’architettura composta riesca a risuonare nella mente del lettore, quanto più in essa provochi meraviglia, ammirazione, stupore, tanto più lo scritto sarà poesia.

Ora però questo criterio soffre indiscutibilmente di un limite, infatti mentre il criterio formale del quale ho parlato all’inizio è imprescindibile e oggettivo, il criterio dello “stupore” trasuda soggettività, non è indispensabile al concetto elementare di disposizione in versi ed inoltre è contingente, ossia la bellezza che riscontriamo in un testo poetico tanto più sarà percepita dai nostri occhi ed orecchie quanto più essa intercetta, nella forma e/o nel senso, il nostro stato d’animo, la nostra sensibilità, le nostre corde, le esperienze umane vissute, le preferenze d’argomenti o il gusto.

E’ certo questo è troppo poco per ergerci a giudici della beltà di un testo, ma non per essere lettori ed estimatori del genere poesia, infatti vi sono lettori appassionati o esperti, in grado di “sentire” la poesia per esperienza, per il solo fatto di averne letta così tanta da aver formato ormai un gusto sicuro,  affinato da una coscienza critica ap-provata.

In ciò che ho esposto resta  di contro indefinito il momento, il nucleo, il punto da cui sgorga poesia, se da una frattura dello spirito, se da un vuoto avvertito incolmabile, uno spazio nascosto,  una devianza della sensibilità, un’alterazione delle coordinate vitali, se trasuda come uno squarcio di luce in un pozzo di nere profondità oppure se nasce per un desiderio di capovolgimento e riscatto, o ancora se è voce che grida o sussurra impotente perché diventi potenza a spaccare le pietre.

Il corpo poetico, l’insieme delle poesie di un autore sono la sostanza del suo dire ed insieme  il travaso del suo spirito o pensiero, ogni poesia parzialmente e l’insieme delle poesie nell’intero rifulgono del brillio della sua anima con tanto più fulgore quanto più profondo è lo sgomento che le partorisce, esse  conducono come un flusso dall’interno all’esterno, una spinta, una massa, un fermento verso un’idea di bellezza, di miglioramento o un desiderio di trasformazione, di metamorfosi.

La poesia è sempre frutto di un’ istanza profonda a sovvertire lo stato di melma.

Non sempre il conato di rivolgimento è espresso e palese come nella poesia civile, ma sussiste anche quando è inespresso, latente in poetiche che apparentemente si dedicano ad  analisi e discernimento dell’animo e delle vicende umane, che esprimono perciò un malessere individuale rifrazione di quello sociale.

Poesia è allora specchio del sé, un confrontarsi con l’io che morde sotto la scorza, un guardarsi con occhi impietosi a conoscersi nei limiti e aneliti, la poesia nasce  per attraversamento di abissi per voli tra altezze, per sprofondamenti nei baratri, è discesa e ritorno recando tra i denti i morsi del fondo, è ricerca dell’oltre e dell’altro, uno spaziare e scavare nell’antro nascosto, rivoltare le anse mentali come una zolla. Disperato graffiare a cercare tra i ciottoli e l’acqua nello scorrere in fiume preziosità a rastrellare.

E’ un bene che si inizi a scrivere poesia sotto un simile impulso feroce, questo sarà spinta dolorosa e durevole, una fiamma che arde e consuma, la poesia sarà sbocco di questo magma, ma non si perviene alla poesia solo per una sorta di “rivelazione”, si inizia a scrivere anche per gioco, per amore della parola, sperimentando la bellezza di ogni vocabolo, assaporandone il suono, componendo e scomponendo costruzioni verbali, nella meraviglia della molteplicità di armonie e costruzioni che si è in grado di produrre, come in un caleidoscopio.

Si inizia a scrivere per dare voce ad un pensiero altrimenti inesprimibile o verso il quale si  è giunti al convincimento che nessuno ha interesse o pazienza di ascoltare, per dirlo con sintesi, con alate parole, per dare prova di saper giostrare con le parole.

Si può scrivere anche per imitazione, per desiderio di emulare il lustro di poeti predecessori, per un atto di superba vanagloria, per dare senso a studi letterari come se scrivere ne fosse la naturale prosecuzione o per consegnare ai posteri il proprio lascito mentale: un’illusione d’immortalità.

La poesia è una risposta alla vanità del parlare, possiede il dono della chiusura e dell’apertura, quello della sintesi e dell’ampliamento, quello di poter esprimere i particolari fino a scarnificarli e di contro la capacità opposta di sussumere in un solo termine, per rimandi, assonanze similitudine e metafore, decine di significati.

E quest’ultimo passo ci apre al mistero insoluto che nel verso si offre perché venga dischiuso. Una porta che affaccia all’indentro, un sentore, una lacrima , un’ eco, un sorriso. Non sempre la poesia dice con un linguaggio trasparente, non sempre è acqua, vetro, cristallo che si penetra in senso al solo guardare. Più spesso è una rosa, un bocciolo, una corona di petali concavi l’uno accucciato sull’altro a chiudere dentro il tesoro.

Essa è fiore che sboccia e nella lettura dell’altro fiorisce di comprensione e condivisione. Di comunione.

Si giunge per molte via a percepire la vocazione poetica, ma non è detto che sia autentica, ma non è detto che sia consapevole. Non è detto che chi scrive in poesia abbia da subito presente la responsabilità di dire in poesia. Di avvalersi cioè della forma espressiva più sacra ed antica, inutile e scardinante,  difficile e meravigliosa.

Essa è cucchiaio a raccogliere il mare. Il racconto, la descrizione, i particolari, l’emozione, ogni espressione comunicata in poesia restano tentativi di consegnare un messaggio la cui importanza, completezza, pienezza è, per quanto cercata e diversamente raggiunta a seconda della capacità poetica dell’autore, impossibile a rendersi nella sua perfezione assoluta.

Nonostante ciò si scrive con impegno e labor limae, si affina il testo prestando attenzione alla preposizione, all’articolo, alla virgola provando e riprovando anche per giorni e giorni, se non per anni, a trovare il lemma che dica, che suoni che risponda esattamente all’eco che risuona interiormente.

Ecco perché poesia è anche arte, capacità di dare alla pasta la forma voluta, una capacità di poein di costruire, fabbricare, come un vaso d’argilla, un arnese di ferro, i biscotti, un fare che si tramanda e si apprende, che  si affina con tempo e richiede maestria, in ciò la poesia è una forma di artigianato, per quanto sia preferibile che essa  attecchisca su una dose di innato il talento, una grazia naturale a saper comporre, a saper affondare la lama lì proprio dove il cuore batte pulsante, a dare al verso respiro con tempi perfetti e sublimi invenzioni verbali: uno spirito che sappia volare.

E nel volo la poesia è ancora libertà. Nel rivolgimento della parola, nel lancio di spinta, nelle sue infinite possibilità, essa, la poesia è liberazione dai limiti, mostri, paure, dai lacci, dai paletti a fissare, dalle costrizioni. E’ via di fuga, è dare spazio al cielo per ancoraggio all’immensità. In questa sua potenza liberatoria sta anche la funzione salvifica che alcuni attribuiscono alla poesia come forma espressiva nella quale convogliare per concentrazione e conversione positiva gravami che minano menti fragili, sensibili e creative. Così sono nate le poesie della Plath, così quelle di Anne Sexton.

La molteplicità di essenze che ho ricondotto alla poesia suggerisce un parallelismo azzardato tra la poesia, preziosa forma espressiva, e una pietra preziosa,  capace di rifrangere luce in tripudio di colori e riflessi che ipnotizzano ed affascinano.

Un fascino poetico che non sembra destinato a tramontare.

Scrivono tanto oggi i poeti e tanto pubblicano e si leggono tra loro e nel mondo,  vogliosi di dire o successo a salire, scrivono anche i non poeti, su un quaderno segreto o più modernamente su un sito internet, a volte convinti di rispondere ad una chiamata di vocazione poetica, più semplicemente inseguendo un anelito del momento o per esprimere un’idea a se stessi o ai loro lettori.

Si illudono in molti di contribuire con ciò al raggiungimento di una verità  che illumini se non quella dei lettori almeno la propria esistenza, illusione è vero, speranza forse e legittima in fondo, ma nel tempo è dato che la poesia di alcuni, solo pochissimi e grandi, si apra in splendido fiore a diventare luce anche per il resto dell’umanità.

L’eremita

Quando si parla degli eremiti si presume sempre troppo. Si pensa che la gente sappia di cosa si tratta. No, non lo sa. Non ha mai visto un eremita, lo ha soltanto odiato senza conoscerlo. Sono stati i suoi vicini a logorarlo, e le voci nella stanza accanto a tentarlo. Hanno aizzato le cose contro di lui perché facessero rumore e lo soverchiassero. I bambini si coalizzavano contro di lui, perché era delicato e bambino, e ogni volta che cresceva cresceva contro i già cresciuti. Lo braccavano nel suo nascondiglio come una preda, e la sua lunga giovinezza non conobbe periodi di tregua. E se resisteva allo sfinimento riuscendo a fuggire, allora gridavano contro quanto veniva da lui, lo definivano brutto e lo rendevano sospetto. E se lui non vi prestava ascolto, diventavano più sfrontati e mangiavano il suo cibo e respiravano la sua aria e sputavano sulla sua povertà per rendergliela ripugnante. Gettavano su di lui il discredito come su un appestato e gli scagliavano addosso le pietre perché si allontanasse più in fretta. E avevano ragione, nel loro istinto primitivo: perché egli era davvero il loro nemico. Ma poi, vedendo che non alzava lo sguardo, cominciarono a riflettere. Sospettarono d’aver fatto, in questo modo, proprio la sua volontà; di averlo rafforzato nella sua solitudine e aiutato a isolarsi da loro per sempre. Allora cambiarono all’improvviso e ricorsero al mezzo ultimo, estremo, l’altro ostacolo: la fama. E a quel chiasso quasi tutti alzarono gli occhi e si lasciarono distrarre.

Ancora non capivo la fama, questa pubblica demolizione di un essere in divenire, nel cui cantiere la folla irrompe per scompaginargli le pietre. O giovane sconosciuto in cui cresce qualcosa che ti fa rabbrividire, rimani ignoto. E se ti contraddicono quelli che non ti considerano, se ti abbandonano quelli che tu frequenti, se ti vogliono annientare a causa dei pensieri che ami, cos’è questo rischio palese e rinsaldante paragonato alla scaltra ostilità della fama, che più tardi, diffondendoti, ti rende inoffensivo? Non pregare nessuno di parlare di te, neppure in tono dispregiativo. E se il tempo passa e ti accorgi che il tuo nome si è propagato tra la gente, non prenderlo più seriamente di quanto altro trovi sulle loro bocche. Pensa: è diventato scadente, liberatene. Scegline uno diverso, uno qualsiasi con cui Dio possa chiamarti di notte. E celalo a tutti. Tu, il più solitario, il più appartato, come hanno rincorso la tua fama. Quanto tempo è passato da quando erano contro di te, irriducibili, e ora
ti frequentano come un loro simile. E portano con sé le tue parole nelle gabbie della loro boria e le mettono in mostra sulle piazze e le aizzano un po’ restando al riparo. Tutte le tue terribili belve.

da I quaderni di Malte Laurids Brigge » di Rainer Maria Rilke

tratto da qui

Cammino

Dunque abiterò tra voi ingrediente

il tempo che si aggiunge a poco a poco

e in silenzio ancora s’avvicina

ancora un giorno e ancora un poco

come passi riflessi verso il vuoto

una stretta lenta un bianco cammino.

 

Come zeri

Ecco è compiuto il giorno

il delitto di mostrarsi nuda

la promessa di tentare mantenuta

nessuno potrà dire la vittoria

pretesa senza acquisto del biglietto

ma l’asse si contorce tra i licheni

il peso ingombra

la bocca è oscena di sbadigli

il verbo masticato appena

a chili insacca scogli e canto

putrefatto misero e tarpato

povero di ascesi e anche di fiato.

Io credo che il destino sia risolto

per ognuno nel trapezio delle mani

il rebus che inanella il caso

il treno il salto giusto un aeroplano

oppure nei mattoni sovrapposti

di scale e pazienza a costruire

la sintassi in salita del crinale.

Io credo che nel brodo d’animale

sia comune il gaudio e la condanna

ottomila mummie nella cripta

altri come zeri in piena terra.

Vanità semantica: prima pagina

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    La semantica è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole (semantica lessicale), degli insiemi delle parole,
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  2. Semantica (disambigua) – Wikipedia

    Il termine semantica (dal greco semantikos, "significato", derivato da sema, "segno") è usato in molte diverse accezioni, tutte attinenti al concetto di
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  3. Semantica edizioni

    Edizioni Semantica per l’Automobile – Magazine è una pubblicazione mensile, pensata per formare e informare gli… Abbonamento ESA 10 Numeri + DVD 40
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  4. Semantica – MSN Encarta

    Semantica Studio dei significati dei segni linguistici, cioè delle parole, espressioni e frasi dal greco semaínein, significare. La semantica
    it.encarta.msn.com/encyclopedia…/Semantica.html – Copia cacheSimili
  5. [PDF]

    1 LA SEMANTICA di Piero Polidoro

    Formato file: PDF/Adobe Acrobat – Versione HTML
    Il termine semantica fu introdotto nel 1883 dal linguista francese Michel ….. Di fronte al problema della semantica (come di fronte a qualunque oggetto di
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  6. semantica e terminologia nei portali :utenza e comunicazione ::

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  7. :::: Semantica Srl :::: – Home

    Semantica Srl, Cesena, hardware, software, posta elettronica, assistenza…….
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  8. semantica

    Roberto per ispirazione dalla mia poesia “Sfavillio” ha elaborato l’immagine sottostante "Amorosa Semantica"; io a mia volta per ispirazione e commento ho
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  9. PI: Che cos’è un motore di ricerca semantico?

    Trovare tutto, prima e meglio. Senza doversi improvvisare maghi delle parole chiave, ma semplicemente domandandolo al computer come fosse un amico o un
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  10. Gnoli: Indicizzazione semantica nell’era digitale

    17 ott 2002 Ricordando l’opinione di Eugenio Gatto, secondo cui lo sfruttamento dei dati semantici negli opac è ancora oggi in una fase "preistorica",
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Poesia 713 di Emily Dickinson

Fame of Myself, to justify,
All other Plaudit be
Superfluous – An Incense
Beyond Necessity –

Fame of Myself to lack – Although
My Name be else supreme –
This were an Honor honorless –
A futile Diadem –

Emily Dickinson

Se la mia fama è giustificata

ogni altra lode è superflua

un incensamento ulteriore

Ma se non ho stima di me

anche se il mio nome

altrimenti raggiungesse il cielo

sarebbe onore privo d’ onore

un ornamento senza utilità.

traduzione di Loredana Semantica

Im presa diretta

A prendere la carta davanti per scrivere senza fermarsi, punteggiando le virgole come battute d’arresto  del pensiero. Scavarle nel foglio, scaraventarle nel bianco di questo punto ubriaco.

La deriva del verme malato riposizionato al centro del rosso cervello che ossesso ritorna alla correzione matematica del testo per solo predominanza gretta di una lettera.

Ti odierò per questo bambola di carta.

Tenace femmina antiquata che nei capelli rigidi di stoppa ben piantata vomiti la promessa del semaforo. La rivolta a catasta delle mandorle. Innesti urlanti di parole. Insopportabile oppressione del travaglio. Ti trafiggo nel verbo di un cimiero, devastando la corona, il manto, le ferite innumerevoli di spade. Il tuo inutile triangolo.

Ruminare pezzi colando asfalto e scarti di scrittura. Briciole. Atri automatismi. Domandarti l’esito irrisolto del tuo male. L’incompetenza esibita a  vasto raggio. La fuga interna a perdersi nei rami. I toni oscuri dell’abisso. L’arrendersi di un albero deserto nel vuoto assoluto del suo cielo. Un raduno di pressioni fiondate per enfasi nel sole. Fili d’erba, stelle immemorabili e notti incastonate. Milioni di farfalle a lame doppie in stato orizzontale.

Il fascino di un rapido scostarsi. L’ultima presenza è il mare tra le scapole. Giocherei volentieri il passo delle nuvole. Le attese indefinibili di pieghe. La pelle del domani sempre livido. Ancora un giro di fango e minuetto, i pesi da portare: conti, liste appese, pedaggi, occasioni a perdere. Rigurgitare manovrando un tempo immobile. Un bacio ancora l’ultimo al crollo di tavole.

 

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