Intervista a un suicida. Vittorio Sereni


L’anima, quello che diciamo l’anima e non è
che una fitta di rimorso,
lenta deplorazione sull’ombra dell’addio
mi rimbrottò dall’argine.

Ero, come sempre, in ritardo
e il funerale a mezza strada, la sua furia
nera ben dentro il cuore del paese.
Il posto: quello, non cambiato – con memoria
di grilli e rane, di acquitrino e selva
di campane sfatte –
ora in polvere, in secco fango, ricettacolo
di spettri di treni in manovra
il pubblico macello discosto dal paese
di quel tanto…

In che rapporto con l’eterno?
Mi volsi per chiederlo alla detta anima, cosiddetta.
Immobile, uniforme
rispose per lei (per me) una siepe di fuoco
crepitante lieve, come di vetro liquido
indolore con dolore.
Gettai nel riverbero il mio perché l’hai fatto?
Ma non svettarono voci lingueggianti in fiamma,
non la storia di un uomo:
simulacri,
e nemmeno, figure della vita.

La porta
carraia, e là di colpo nasce la cosa atroce,
la carretta degli arsi da lancia fiamme…
rinvenni, pare, anni dopo nel grigiore di qui
tra cassette di gerani, polvere o fango
dove tutto sbiadiva, anche
– potrei giurarlo, sorrideva nel fuoco –
anche…e parlando onorato:
“mia donna venne a me di Val di Pado”
sicché (non quaglia con me – ripetendomi –
non quagliamo acque lacustri e commoventi pioppi
non papaveri e fiori di brughiera)
ebbi un cane, anche troppo mi ci ero affezionato,
tanto da distinguere tra i colpi del qui vicino mattatoio
il colpo che me lo aveva finito.
In quanto all’ammanco di cui facevano discorsi
sul sasso o altrove puoi scriverlo come vuoi:

NON NELLE CASSE DEL COMUNE
L’AMMANCO
ERA NEL SUO CUORE

Decresceva alla vista, spariva per l’eterno.
Era l’eterno stesso
puerile, dei territori
rosso su rosso, famelico sbadiglio
della noia
col suono della pioggia sui sagrati…
Ma venti trent’anni
fa lo stesso, il tempo di turbarsi
tornare in pace gli steli
se corre un motore la campagna,
si passano la voce dell’evento
ma non se ne curano, la sanno lunga
le acque falsamente ora limpide tra questi
oggi diritti regolari argini,
lo spazio
si copre di case popolari, di un altro
segregato squallore dentro le forme del vuoto.
…Pensare
cosa può essere – voi che fate
lamenti del cuore delle città
sulle città senza cuore –
cosa può essere un uomo in un paese,
sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante
e dopo
dentro una polvere di archivi
nulla nessuno in nessun luogo mai.

Vittorio Sereni

“L’amore e tutto il resto” di Andrea Temporelli. Una mia lettura.

già pubblicata su Limina mundi qui

C’è analogia tra Andrea Temporelli e – a puro titolo d’ esempio – Cristina Campo, oppure Umberto Saba, Pablo Neruda, Italo Svevo, nel  senso che sono tutti autori che hanno adottato uno pseudonimo.  Gli pseudonimi separano mondi. Di qua il nome, di là gli altri. Da un lato l’essere dall’altro l’invenzione. Si opera la diversificazione, si celebra lo smarrimento,  pulsa la repulsa del limite, mescendo lo scoramento del vivere si varca il transito nell’impossibile. Si travalica la nominazione imposta che opprime e aliena, come un battesimo all’esistenza che incarta e squarta. Nello schermo il  pronunciamento, scevro da condizionamenti, si fa purezza d’inesistenza. L’impresa resta agganciare l’eterno allo scarto, partorire il trapasso, comprendersi fino alle scapole, ai polmoni in un’assurda, mai sazia, impagata ricerca di se stessi. Dentro uno pseudonimo si possono estrarre con l’uncino le ali dalle scapole e volare oltre i mondi. Edificare a parole un monumento d’amore e dolore. Non è poi così difficile per alcuni, nel senso che è simile alla vita.  Eminentemente scrivere è un gesto antropico, gli animali non lo fanno, ma non è un gesto naturale, eppure per qualcuno scrivere è un atto di estrema naturalezza. Libera e conduce slancio e impulso,  come guidare una vettura nelle strade deserte senza che gli altri siano d’intralcio: passanti, veicoli, conducenti. Il dolore invece è diverso, spina o croce, è all’opposto gravoso, difficile da reggere, impregna l’essere, lo attraversa e viverlo il dolore dà alla scrittura una consistenza e una compostezza che flette le arterie, le irrora allo spasimo.

I poeti in definitiva non scrivono che d’amore, di dolore e di morte. I poeti degni di questo nome. Se un poeta non scrive di questi temi ha scritto sul ghiaccio.

La silloge di Temporelli edita da interlinea, s’intitola L’amore e tutto il resto, Il titolo è sintomatico di un’ordine. Messo l’amore al primo posto cosa resta? Echeggia un anelito dickinsoniano

I argue thee
That love is life –
And life hath Immortality –

Io ti dimostro
che l’amore è vita
e la vita ha l’immortalità

Oppure come non ricordare l’ancor più famoso distico

That Love is all there is,
Is all we know of Love

Che l’amore è tutto
È tutto ciò che sappiamo dell’amore.

Continua a leggere ““L’amore e tutto il resto” di Andrea Temporelli. Una mia lettura.”

Gioielli Rubati 249: Grazia Denaro – Leopoldo Attolico – Anna Spissu – Loredana Semantica – Carmine Mangone – Mara Mattavelli – Marco Brogi – Marco Oldmascio.

La poesia viva. Su aMargine i gioielli rubati scelti da Almerighi. C’è anche una mia

almerighi

Variare i tempi del presente
.
Assorta in segreti pensieri
questa sera ho nostalgia dei tuoi silenzi
e del tuo guardarmi sorridente
ai rimbrotti affettuosi
che ti rivolgevo sovente.
.
Tu hai abitato da sempre il mio sentire
era un amarci colmo di parole
che sgorgavano sincere dai nostri cuori.
Col tempo si erse fra noi un muro
e non riuscimmo più a comunicare.
.
Ho tolto la tua foto,
ho dovuto cambiare le parole,
variare i tempi del presente
girandoli al passato.
Il noi non esiste più, ora governa l’io
e s’esalta l’imperfetto.
.
Incontrarti oggi, casualmente
è stato un grande dolore.
Ricordo il pontile
delle nostre passeggiate,
il fantasticare sul nostro futuro
da me tanto desiderato.
.
Ma non eri tu
il tronco portante del mio ramo
e neppure il soggetto
dei miei versi dedicati.
.
di Grazia Denaro, qui:
https://graziadenaro.wordpress.com/2023/05/11/variare-i-tempi-del-presente/
.
*
.
Accade
.
( ……

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“Infestazione”, poesia di Nina Cassian. Illustrazione di Loredana Semantica

Infestazione

Un tappeto di farfalle morte ai piedi,
morte e morbide
(loro non hanno il rigor mortis).
Io godo di ottima salute.
Ho tirato fuori il fegato,
ho estratto i polmoni,
ho estirpato il cuore
e non mi fa più male nulla.
Tramutarsi in fantasma
è una soluzione
che vi raccomando freddamente.

Nina Cassian, poetessa, scrittrice, traduttrice rumena, nata in Romania, a Galati, il 27 novembre 1924, morta a New York il 15 aprile 2014

Una poesia di Nina Cassian. Illustrazione di Loredana Semantica

Una poesia di Nina Cassian. Illustrazione di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).

Preghiera

Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
– chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con la settima parte di un pesce,
fammi un fischio, dissodami le dita,
ricolmami di aromi, di stupore,
– resuscitami.

Nina Cassian, poetessa, scrittrice, traduttrice rumena, nata in Romania, a Galati, il 27 novembre 1924, morta a New York il 15 aprile 2014

Una poesia di Nina Cassian. Illustrazione di Loredana Semantica

Una poesia di Nina Cassian. Illustrazione di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).

Veglia

Ero bella, quando mamma moriva.
Avevo pianto e vegliato. E i miei occhi angusti
ringiovanivano sullo specchio del mio volto.
Lei non mi guardava più. Poteva venire
il peggior bandito a spaccarmi il cranio
ma la sua mano non si sarebbe levata
in mia difesa.
Eppure ero bella, come mi desiderava lei,
e la primavera era alle porte: un verde umido
di frammenti vegetali, corrugati,
minacciava di graffiare a sangue il giardino.

Ma prima di allora mamma moriva
ignara di tutto e di tutti
imbrattando il cielo di un sospiro
più impetuoso che mai
– e io contavo
e c’erano venti sospiri
intensi, e dieci appena percepiti,
mentre la notte s’imbiancava adagio
e solo la pioggia colpevole
di nero intonacava il mio muro esterno.
Eppure ero bella, intenta lì a contare
quei sospiri di lotta
ma lei non mi vedeva.
E d’ora in poi nessuno mi vedrà
in quel modo, mai.

Nina Cassian, poetessa, scrittrice, traduttrice rumena, nata in Romania, a Galati, il 27 novembre 1924, morta a New York il 15 aprile 2014

Tre poesie di Nina Cassian. Illustrazioni di Loredana Semantica

La poesia di Nina Cassian, disegni miei

LIMINA MUNDI

Tre poesie di Nina Cassian . Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).

La tentazione

Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto.
Per la prima volta vedrai i pori schiudersi
come musi di pesce e potrai ascoltare
il mormorio del sangue nelle gallerie
e sentire la luce scivolarti sulle cornee
come lo strascico di un abito; per la prima volta
avvertirai la gravità pungerti
come una spina nel calcagno
e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole.
Ti prometto di renderti talmente vivo che
la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili,
che le sopracciglie diventeranno due ferite fresche
e ti parrà che i tuoi ricordi inizino
con la creazione del mondo.

Preghiera

Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
– chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con…

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Il sole viene dopo di Rocco Scotellaro.

Il sole viene dopo (1950)

Sono nate le viole nei tuoi occhi
e una luce viva che prima non era,
se non tornavo quale primavera
accendeva le gemme solitarie?
Vestiti all’alba, amore, l’aria ti accoglie,
il sole viene dopo, tu sei pronta.

Disegno mio. Tecnica digitale pennino su schermo.

Fai dei refusi

Fai dei refusi un labirinto
e infilatici dentro
come se fossi tu stessa
l’ errore principale
il primo venuto al mondo
insanabile irrimediabile
che insulta la perfezione
la contamina la denigra
come la volpe fa con l’uva
scornata d’essere
sempre più lontana
dall’irragiungibile.

TITANiO di Loredana Semantica, Terra d’ulivi 2023. Una lettura di Antonella Pizzo

La lucida e centrata lettura di Antonella Pizzo – che ringrazio – sul mio Titanio.

LIMINA MUNDI

TITANiO

Dopo L’informe amniotico [appunti numerati e qualchepoesia] edito da Limina Mentis edizioni, 2015, opera prima di Loredana Semantica, con prefazioni di Giorgio Bonacini e Rosa Pierno segnalato al premio Lorenzo Montano, esce la nuova raccolta di Loredana Semantica TITANiO edita da Terra d’Ulivi 2023. Il titanio è un elemento metallico conosciuto per la sua resistenza alla corrosione, quasi pari a quella del platino, nonché per il suo alto rapporto tra resistenza e peso. È un metallo leggero, duro ma con bassa densità. Allo stato puro è molto duttile, lucido, di colore bianco metallico.

Il Titanio è il metallo ideale perché porta in sé due qualità opposte e ugualmente importanti, rappresenta l’equilibrio fra due proprietà intrinseche, la leggerezza e la resistenza.

La parola Titano deriva dal latino Titanus. I Titani vengono considerati come le forze primordiali del cosmo, che imperversavano sul mondo prima dell’intervento regolatore e ordinatore degli dei olimpici…

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Più voci per un poeta: Rocco Scotellaro. Nel centenario della nascita

Oggi è il centenario della nascita di Rocco Scotellaro, un mio articolo su Limina mundi lo ricorda. La sua storia, le sue poesie, le mie immagini.

LIMINA MUNDI

Nel 1923, il 19 aprile di cento anni fa, a Tricarico in provincia di Matera nasceva Rocco Scotellaro. Poeta, politico e scrittore italiano. Appena trent’anni dopo Rocco sarebbe morto per un infarto, ma certo la sua non può dirsi una vita sprecata.
Nato da una famiglia di umili origini, il padre calzolaio, la madre sarta, fu indirizzato dalla famiglia agli studi, essendo versato in letteratura, s’iscrisse al Liceo Classico presso i Padri Cappuccini e per permettergli di proseguire gli studi tutta la famiglia si trasferì a Sicignano degli Aburni, in Campania.
Trento, Tivoli, Potenza, Napoli, Bari, Cava dei Tirreni sono città dove ha lo hanno portato i suoi viaggi per l’Italia per studio e lavoro. Al termine del Liceo intraprese gli studi di Giurisprudenza alla Facoltà la Sapienza di Roma, ma in lui si accese la passione politica e, senza giungere a laurearsi, decise di impegnarsi attivamente, iscrivendosi al Comitato…

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“Lungomare” di Eugenio Montale

Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci,
e l’ombra che tu mandi sulla fragile
palizzata s’arriccia. Troppo tardi

se vuoi esser te stessa! Dalla palma
tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia,
sui lunghissimi cigli del tuo sguardo.

Poesia di Eugenio Montale dalla raccolta “La Bufera e altro”, 1956

Disegno mio. Tecnica digitale pennino su schermo.

Le belle dame sans merci di E. Montale

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Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano 
le briciole di pane che io gettavo 
sul tuo balcone perché tu sentissi 
anche chiusa nel sonno le loro strida.

Oggi manchiamo all’appuntamento tutti e due 
e il nostro breakfast gela tra cataste 
per me di libri inutili e per te di reliquie 
che non so: calendari, astucci, fiale e creme.

Stupefacente il tuo volto s’ostina ancora, stagliato 
sui fondali di calce del mattino; 
ma una vita senz’ali non lo raggiunge e il suo fuoco 
soffocato è il bagliore dell’accendino.

Poesia di Eugenio Montale dalla raccolta “Satura”, 1971

Disegno mio. Tecnica digitale pennino su schermo.

Fiammelle

Haiku

luci sui rami
gemme che accendono
la primavera


verdi fiammelle
promettono al sole
la trasparenza


tenere foglie
gonfiano il respiro
in leggerezza

“Accarezzami amore” di Alda Merini

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.

Alda Merini, poetessa, nata a Milano nel 1931, morta a Milano il 1° novembre 2009

Nel libro di lettura delle classi superiori

Non leggere odi, figlio mio, leggi gli orari.
Son piú esatti. Svolgi le carte di navigazione
prima che sia tardi. Vigila, non cantare.
Viene il giorno che torneranno a inchiodar liste
sulla porta e a chi dice di no dipinger sul petto
qualcosa di uncinato. Impara ad andare
senza esser conosciuto, impara piú di me:
a cambiar quartiere, passaporto, faccia.
Fai pratica di tradimento al minuto,
di sporca quotidiana salvezza. Le encicliche
sono utili per accendere il fuoco
e i manifesti per incartare burro e sale
a chi è senza difesa. Rabbia e pazienza ci vogliono
per soffiare nei polmoni del potere
la fine polvere mortale, macinata
da chi ha molto imparato,
da chi è esatto, da te.

Hans Magnus Enzersberger

1963 – Traduzione di Franco Fortini e Ruth Leiser
da “Poesie per chi non legge poesia”, “Le Comete” Feltrinelli, 1964

TITANiO di Loredana Semantica, Terra d’ulivi edizioni, 2023

Il mio ultimo libro, appena pubblicato. E’ una raccolta di una parte delle poesie scritte nell’arco di un decennio, tra il 2010 e 2021.

La copertina di TITANiO è un’opera dell’artista Anna Ferraresi, (collage e tecnica mista)

Per l’acquisto qui il link al sito della casa editrice, ma lo trovate anche su Amazon, ibs, libreriauniversitaria, mondadori ecc.

Per saperne qualcosa di più foto del libro e sinossi sul sito di Lucaniart.

Lei era stanca

Lei era stanca, stanca d’essere stanca. Stanca d’ essere e anche non essere. Di accendere lampade segrete e segretamente spegnerle. D’essere un fantastico elastico teso allo spasimo. Un bambù scorticato, alluminio raffinato, un coltello affilato con la lama in ceramica. Liscia isterica e bianca. Lei era stanca. Come la gravità, un colpo, uno sparo, un tuono che brontola lontano. Come un corpo che cade a corpo morto. Ormai si lasciava cadere, si abbandonava. La forza d’animo crollava a piombo e il suo crollo trascinava come frana terra gialla e sterpaglia. Era un’arma impropria o ignota. Voleva esserlo. Oltre l’arco e freccia, fionda e sussurro, roteava un martello vichingo. Il suo essere passeggiava in bilico tra il fioretto e il cervello. Teneva per coprirsi un’ombra, un mantello. La proteggeva dalle gocce di merda. Frequentava una nuova angoscia. Non si riconosceva.

Lei era stanca ma anche saggia, sebbene non avesse la barba. E leggere gli echi dell’ego la stancava. Insistenti, acuti, fulminanti. Una chiarità tanto fatata quanto falsa. Credeva o aveva creduto d’essere potente, impotente, subordinata. Ma in fondo non le importava. Era stanca d’essere irretita dalle sue stesse nuvole, sempre più scure e pressanti. Aggressive. Nel pentimento ricamava. Provava il rammarico d’avere attraversato l’inconoscibile, di averlo sfidato ed esserne stata sconfitta. Aveva rotto i sigilli. E ancora era stanca. Di una stanchezza ottusa, trattenuta sul fondo melmoso di un invaso. Distesa supina era inciampata mentre correva inseguita dal cielo, che adesso le è addosso impietoso e la lecca. Lei grida “M’ha raggiunta l’azzurro! M’ha rubato la vita! Guardate le mie povere dita sono crollate, spezzate, sparite”.

Le dita della sua piccola mano erano stalattiti di ghiaccio frantumato. “La mia forza s’è l’ è presa qualcosa” ululava “S’è avventato un animale sul cuore. Guardate sul petto i segni dei morsi, ha dilaniato ciò che volava tra gli atri e i ventricoli.” Forse era vero, forse no, oppure era il sogno di un cane, il fantasma di un drago. Un cespuglio di immaginazione. Non c’era nulla lì attorno, solo vuoto aumentato. Lei franava nelle sabbie mobili del costato, più di prima franava, scontatamente. Confessava anni e anni di peccato, viveva espiando il momento. Era stanca e non desiderava più nulla, nulla che potesse essere desiderato. Le bastava d’essere viva. Una risorsa lasciata, acqua che scorre sul fianco, sul selciato. Un respiro di branchia. Un fossile disseppellito trapanando lo scoglio. Il periscopio che sbuca dal fondo.

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4Orlando R Maria, Aldo Viano e altri 2

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