Era

Anatomia

Era
come lo strappo del cuore
che usciva dal corpo
partorito dal petto
alla luce del sole
integro morso
vuoto interiore.

Era
un martello ossessivo
un denso vapore
che saliva dagli occhi al cervello
mentre il respiro si faceva leggero
perché arrivasse ai polmoni
sottile ed intero
senza graffiare all’interno
le pareti dei bronchi
come si graffia la pelle
quando si cade di peso
sul muro grezzo
in cemento.

Era
un continuo ripetersi
d’immobili gesti
un battito lento e crudele
nella tela del ragno
un dibattersi estremo
allo sfinimento.

“Vocali” di Arthur Rimbaud

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Un giorno dirò la vostra origine segreta:
A, corpetto nero e peloso di mosche lucenti
ronzanti intorno a esalazioni crudeli

Golfi d’ombra; E, candori di tende e vapori,
Lance di ghiacciai fieri, bianchi re, tremori d’ombrelle
I porpora, sangue sputato, riso di labbra belle
Nella collera o  nell’ebbrezza che si pente

U, cicli, vibrazioni divine di mari verdi,
Pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe
Che l’alchimia incide su ampie fronti  da studiosi;

O suprema Tromba piena di strani stridori
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi
O l’Omega, raggio viola dei Suoi Occhi!

Arthur Rimbaud, poeta, Charleville Mezieres 1854, Marsiglia 1891

traduzione di Loredana Semantica

Canto del mattino di Sylvia Plath

L’amore ti ha messo in moto come un grosso orologio d’oro.
La levatrice ti ha schiaffeggiato sotto i piedi e il tuo nudo grido
ha preso il suo posto fra gli elementi.

Le nostre voci echeggiano, esaltando il tuo arrivo. Nuova statua.
In un museo pieno di correnti, la tua nudità è ombra della nostra sicurezza.
Ti stiamo intorno vacui in viso come pareti.

Non sono tua madre più di quanto
lo sia la nuvola che distilla uno specchio per riflettere la propria lenta
cancellazione per mano del vento.

Per tutta la notte il tuo respiro di falena tremola
fra le piatte rose rosa. Veglio per ascoltare:
un mare lontano si muove nel mio orecchio.

Un grido, e scendo dal letto incespicando, pesante
come una mucca e floreale
nella mia camicia da notte vittoriana.
Le tua bocca si apre pulita come quella di un gatto. Il riquadro della finestra

s’imbianca e inghiotte le sue opache stelle. E ora tu provi
la tua manciata di note;
le vocali chiare salgono come palloncini.

Sylvia Plath

Venite di Gottfried Benn

Venite, parliamo tra noi
chi parla non è morto,
già tanto lingueggiano fiamme
intorno alla nostra miseria.

Venite, diciamo: gli azzurri,
venite, diciamo: il rosso,
si ascolta, si tende l’orecchio, si guarda,
chi parla non è morto.

Solo nel tuo deserto,
nel tuo raccapriccio di sirti,
tu il più solo, non petto,
non dialogo, non donna,

e già così presso agli scogli
sai la tua fragile barca –
venite, disserrate le labbra,
chi parla non è morto.

Gottfried Benn, poeta e scrittore, Mansfeld 1886, Berlino 1956

Dove la luce di Giuseppe Ungaretti

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.

Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d’ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov’è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d’oro.

L’ora costante, liberi d’età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo.

Giuseppe Ungaretti ,poeta e scrittore, Alesssandria d’Egitto 1888, Milano 1970

 ( da Il sentimento del tempo – Leggende, 1930 )

Catinella

Si chiamava Catinella
ed era quella che aveva notizie
sempre fresche
al cambio ora nei corridoi
chiedeva alle bidelle
di questo e quello
riferendo agli insegnanti
informazioni.

Una volta si sedette accanto a me
nel banco perchè
la mia compagna era assente
e fu la volta che prese sette
nel compito di matematica
copiando dal mio il procedimento
il mio invece fu appena sufficiente
per errori di calcolo banali.

Qualche anno fa ho saputo
che finita la scuola s'è sposata
con un medico o ingegnere
forse politico o imprenditore
cioè non che ricordi
esattamente ma voglio dire
s'è sposata bene per essere
una provinciale.

Il sogno

La luce acuta filtra
dalle nuvole schiumose
e il biancore
in tutte le sue sfumature
nel cielo grigio uniforme
si allarga e scende
verso la verdissima pianura.

C’è una strada sopra un altopiano
dritta larga asfaltata di fresco
quasi nera
con entrambi i cigli che deviano
sulla distanza avvicinandosi tra loro
fino a giungere uniti
sullo sfondo.

Nel sogno con gli altri
corro sulla strada
e gli altri sono topi
grossi topi baffi lunghi
corpo grigio e muso a punta
rosato e mobile sui denti.
Corrono alcuni avanti
altri rispetto a me
più indietro tutti insieme
verso l’orizzonte.

Per un attimo mi volto
guardo avanti poi di lato
e quando abbasso lo sguardo
sul mio corpo
grigio è il pelo e le mie zampe
con le unghiette in cima bianche.

Guardo indietro
e mi accorgo sorpresa
che anch’io come gli altri
ho una lunga coda.

 

A volte il senso del cammino

A volte il senso del cammino
la sera l’aria limpida
il lavoro appena svolto la fatica
anche la rabbia i sorrisi l’incontro
col tuo essere enorme
i figli
ogni parola detta
la pioggia che piove da tre giorni
i progetti la promessa di schiarita
i discorsi inutili la gente
la luce gialla dei lampioni
l’ansia mai vinta di una vita.

Tutto prende un verso
terso di destino
di potenza latente
anche nel passo esitante
nel corpo che barcolla appena
nell’essere qui adesso
ed anche nell’essere nulla
al tempo stesso.

Un nulla incerto indefinito
che svanisce si dissolve non esiste
dolcemente senza freddo
ansito o tremore
senza il trauma del passaggio
ma solo consapevolezza
d’essere aria acqua assenza
una cosa senza corpo
atomo disperso
trasparenza
che ritorna a far parte
dell’universo. 

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