Noi che viviamo compatti. Blaterando contratti nel vuoto. Noi litighiamo ogni volta abbaiando per poco. Nelle stanze seminiamo vestiti. Le cinture le scarpe i capelli. Noi che aggrappati restiamo. Resistendo alla piena. Con gli ombrelli alla pioggia all’estremo. Sempre uniti o distanti. Instupiditi o distratti. Sopraffatti. Conduciamo in coraggio il percorso. Alla fine alla curva all’incrocio. La salita il fosso l’abisso. La montagna a scalare. Ogni colpo lasciato ogni treno. Ogni sogno o speranza perduta. Ogni uomo per strada. Ogni donna. Con un gancio legato a una corda. Noi solleviamo ogni giorno. La trincea dell’assalto e la guerra. Noi che laviamo lenzuola. E stiriamo le pieghe gli stracci. Salutiamo educati il vicino. Cuochi ai fornelli. Operai incolonnati. Studenti. Come tanti impiegati. Massa amorfa del nulla. Macerata dal quando. Che poi suona per tutti. Alle cinque la sveglia. Ci leviamo ogni giorno. Mentre l’alba arrossisce. Assonnati. Gli occhi bassi all’asfalto. Mani in tasca e la nebbia. Ogni volta daccapo. Come il fumo il vapore. Una ruota di pozzo. La ghiera dell’ora. Crepitare di neve d’inverno. Afa d’estate. Olio giallo a inondare. Noi che per l’ultimo soffio. I remi a vogare. Affogati navigando nel mare. Saccheggiamo assetati. L’infinito del niente a echeggiare.
Crepitare di sillabe
Crepitare di sillabe distratte
innumerevoli nomi a chili
legati esatti transitati
nel neo bruno dei vostri pronomi
nei varchi stesi sulle acque
nelle esequie di processi verbali
trascritti per sublime sintesi dei fatti.
Resurrezioni di lazzari deposti
velati ossari
la moltitudine dei no
a costellare in ripetizione
l’onda ossessiva di risacca.
Immolarsi senza requie
stringere i pugni in bianche nocche
sull’ulna addormentarsi
sopravvivendo al rifiuto
un’altra notte.
La mancanza sostanzia
Mancanza, vuoto, negazione sono corpo della poesia, suo fondamento e sue radici.
Kermesse
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Faraòn Meteosès "KERMESSE" (vers. integr. Creative Commons)
Si dia il via all’audizione!
– … prego… mi si presti attenzione!
– … l‟accesso in platea… è per una ghinea!
… per voi Signore e Signori,
amici critici, validi autori
… un momento di Kermesse
… je suis votre Entraîneuse!
– (… shhh) … siiii… sono in incognito
… vostro liquido poetico-amniotico
… che importa se nata in vitro o clonata o ibernata,
sono una spuria velleitaria alienata e illetterata,
provocante e controproducente:
allibita dai rotabili tipografici,
illibata nei rotocalchi chilometrici,
concepita in repetita iuvant, ai relata refero referente
nel travaglio mi sfilerò il bavaglio
e… s‟il vous plait… pardon! … alla sans façon
… viados in topless, ve la do gratis
… eccezionalmente per questa Kermesse
… je suis votre Entraîneuse!
Sono Dada-seminuda-asessuata,
omelette e sans-culotte in pallacorda, in avanguardia
al Bordellone editoriale
di Vossignoria ed Eccellenza e non mi cale
il sottopancia che mi trancia, nell‟Avatar da porno-star,
si, sono una stanga… di losanga,
oca rampante dal sorriso disarmante,
che si spampana e si spompina della rima
e godo a modo come un fromboliere familiare al lessico,
rustico di poeticherie di porcherie,
procace se vi piace e Travestito
nelle grotte azzurre di Falloppio,
nelle trombe metalliche di Eustachio
… sono la Violetta-Maddalena-Traviata e Salomè,
dal Monte Pimpla, venuta qui direttamente
… la Miss Blenorrea della Poesia,
per quest‟insolita Kermesse
… je suis votre Entraîneuse!
Per via orale, ho la tradizione, che trasmetto,
per altre do, la prestazione, che prometto
essere discreta, ad effetto disponibile e speciale
… del resto… ho due o tre parole ancora in bocca,
di riserva… quattro, cinque sul di dietro della scocca,
senza peli di creativa cheratina sulla Lingua-Menelik!
… elefante marino di prolattina sul batik,
indigesto di barriti di vocali e consonanti,
non essendo consono, sono chiunque, se vi pare
così… per LUDUM DICERE,
non posso tacere, né soprassedere
se vi tocco il comune senso del pudore
in un breve momento di Kermesse
… pourquoi… pourquoi… je suis votre Entraîneuse!
E poi ho penne e piume di cotenna e cotillon,
lustrini e strass, la silhouette con le paillette:
sarei lo Charmant delle Performançes, se mi lasciate un obolo
vi cadrò a fagiuolo, confagricolo e folcloristico,
vi darò il colpo di frusta e della strega, scoderò di grazia,
uccidendo l‟Uomo morto per l‟Estrema Unzione con l‟unguento,
che mi invento senza vanto e vaselina
e… «Muy encantado-Signorina!»
Ne m’en veuillez pas… pour cette Kermesse
… je suis votre Entraîneuse!
di Faraòn Meteosès da Psicofantaossessioni edito da Lietocolle
Sdegno e stasi – La scatola che ci plasma e ci svuota
Li segnalo insieme perchè sono da leggere in relazione: sdegno e riflessione o viceversa.
tratto da qui
Sdegno e stasi
by maebasciutti
"Ora è vero che proprio per le cosidette leggi dell’avanguardia nessuna situazione può essere congelata, nessuno stile innovatore può sopravvivere tanto tempo senza diventare a sua volta accademia, comunque è anche vero che il pericolo in cui l’avanguardia sempre incorre quando tenta di andare avanti è tornare indietro. Di questo pericolo la neoavanguardia italiana è sempre consapevole? La risposta è dubbia.” continua a leggere
tratto da qui
La scatola che ci plasma e ci svuota
di Stefano Guglielmin
Specchio delle brame da tardo impero, piccolo Eliogabalo arbasiniano, che attraversa l’età trista contemporanea, schizzando fuori dalle orbite i propri figli irriconoscenti, pagati bene solo se imbraghettati nel signor sì di regime, la tv italiana, mai come ora, mostra tutto il suo sugo da porcile a condire un bilateralismo catodico, dove la virtù infiamma nelle scoregge seriali – dai pacchettari raiuno ai caini analfabeti, dai tgquattro naziona-populisti ai baccanali linguastici camuffati da talk show – ed il vizio s’incarna nella debolezza troppo umana (Morgan che s’infatua per il miraggio olfattivo, mortificando le vibrisse; Marrazzo che cerca la rima fra le gambe, a Vigna Clara) o nello sberleffo sopraffino, come quando, a La prova del cuoco, Beppe Bigazzi, (ex amministratore delegato della Lanerossi) insegna a cucinare il gatto, strappando l’anima e l’ostia a tutti i buoni della penisola, vicentini compresi. continua a leggere
Lo stupro dell'anima
Non chiedetemi perchè, so solo che mi affascina. Questo racconto di Valter Binaghi probabilmente, a livello inconscio fa emergere dalla mia memoria qualcosa che io però non ricordo.
tratto da qui
Lo stupro dell’anima di Valter Binaghi
Se penso a uno stupro, al momento in cui la mia vita ha subito una violenza così odiosa, non mi viene in mente alcun tipo di molestia sessuale, ma proprio qualcosa perpetrato “a fin di bene”, un Natale di tanti anni fa.
Avrò avuto sei o sette anni. Nelle ultime settimane dovevo avere esagerato coi capricci infantili, perché mia madre mi aveva battuto un paio di volte (usava la ciabatta sulle coscine nude, ma non è che facesse troppo male, infatti io subivo la punizione e continuavo peggio di prima). Un giorno, esasperata, aveva minacciato di spifferare tutto a Gesù Bambino che, passando da casa nostra la notte fatidica, a me avrebbe lasciato solo carbone. Io me la ridevo, o meglio fingevo di assumere un atteggiamento compunto, ma dentro di me sapevo benissimo che Gesù Bambino era al di sopra di queste meschinità; al catechismo insegnavano che Gesù era stato buono fino a lasciarsi crocifiggere, aveva salvato in extremis perfino il ladrone e perdonato i nemici, e poi amava i bambini, anzi nel suo Regno ci voleva solo dei mocciosi come me, perché noi si che sapevamo come farlo divertire. continua a leggere
Lui ha un segreto a scomparsa
Lui ha un segreto a scomparsa. Lei ne raccoglie le gocce. Piove stanotte. Sui fiori le cosce. Nude sui fianchi. Penduli seni ondeggianti. Le radici frementi hanno un nucleo vitale. Sulla neve una macchia. C’è del rosso nel corpo. Un ricamo di brina. Filigrana e velluto. Di sangue. Forse un crollo che sboccia. In gara col sole. Di petali e luce.
Lei lo avverte. Fa la mira più alta. Lui ha uno sguardo preciso. Verso un punto diretto del cielo. Non nasconde la bocca. E’ che lei non la vede. Ha la guardia serrata. Più dura che chiusa. Solo gli occhi a brillare farina. Lui ha le mani blindate. Un esempio di muro. Non fa doni. Pressa sempre bisogni. Lei li vede e soccombe.
Lui ambisce di tutto. Lei di star bene. Non si vedono oltre. Lei parla piano piega sempre la testa. Non s’arrende. Lui parla forte alza sempre la testa. Non s’arrende. Si sorridono al buio. La promessa del fuoco. Un anello che lega. E’ un battesimo il primo. Si attendono al varco. La foce del delta. Si chiamano a volte. Senza far nomi. Distanze incolmabili svettanti nel vuoto.
Tu che per lame tue accese
Tu che per le lame tue accese. Sia un baratto di voli. Tu che perduto l’ amavi. La sorella dell’uomo. O la sposa perduta. Tu che hai l’anima uccisa e un bagaglio di affronti. All’impronta arrecati ingoiati irrisolti. Sei negli occhi un ricordo. Tu che ora moduli il canto. Per un uomo mai visto. Una donna impazzita. Per un figlio mai avuto. O dato. O rubato. Tra le stelle sepolto. Cosa a forma d’erranza. Femmina grigia. Uomo canuto. Se l’approdo è il declino. Superare è un in contro.
Tu che negli uomini hai visto l’indicibile esposto. E le strie hanno un rosso impossibile crocifisso nel cuore. Come cani azzannanti e mostri mai detti. Neri d’abisso dannati. Neri più neri del crudo. Buio nei denti. E la gola pervasa. Un gridare interiore mai espulso abbastanza. Senza pace la pena. Poi la quiete che giunge. Sia per morte la piena. Sia per sola pietà del supremo che viene.
Tu che senz’ali. Conformato appiattito. Deposto dal suolo. Affranto affamato. Croce vento e delizia. Ape insistente alle orecchie. Tu che cavallo al galoppo hai smarrito le staffe. Altro immondo che dici. Verme che nel senno riposto ha nel sesso radici. Il massacro del ventre. E la nausea a furore. Del muco del seme d’odore.
Ogni lancia fendente ogni spina infilzata. Ogni orrore. Si rimargina forse introflette. Sopravvive nel sangue a parole.
Fuoco centrale
Se la parola amore è
uno straccio lurido,
se non ho altra lingua per dire cosa
amo, se l’anima adesso è un ingombro
e il ciclo un posto come un altro
se dormiamo e dormiamo
se il mio canto è schiacciato nel cantone
se il mio canto o il tuo, se il mio canto
se tutte le parole dei savi sono troppo
lente per questa corsa sui cocci, se anche
le bestie in quel loro morire bastonate
neppure si rivelano
se c’è una tosse se c’è una
tosse che incrosta il cielo
e poi lo sputa
se abbiamo nemici dentro le teste
e macchinette rotte
se la mano è scontrosa alla mano
scontrosa rompe l’onda e il ramo
rompe l’ala e il becco
se abbiamo salmi stonati
se le macerie sulle facce stanche
fanno il peso di tutta la storia
se poi nessuno viene
nessuno s’alza dal fradicio delle tombe
a consegnarci un grappolo, una tazza
un giuramento alla luce
se se se
se c’è una sete che ci ammala
se c’è un sorso per chi ha sete
se davvero davvero muove il sole
se muove il sole e l’altre stelle
se la sua gran potenza, sua gran
potenza d’antico Amor,
se il nostro cuore è immenso
se il nostro cuore
talvolta è immenso, se le
stelle nascono, se è vero che nascono
anche adesso, se siamo polverine allo
sbaraglio, catenelle smagliate,
benedico ogni centimetro d’Amore ogni
minima scheggia d’Amore
ogni venatura o mulinello d’Amore
ogni tavolo e letto d’Amore
l’Amore benedico
che d’ognuno di noi alla catena
fa carne che risplende
Amore che sei il mio destino
insegnami che tutto fallirà
se non mi inchino alla tua benedizione.
da "Fuoco Centrale e altre poesie per il teatro" di Mariangela Gualtieri (Einaudi, 2003)
Metamorfosi sulla dimora
La raccolta visual poetica "Metamorfosi semantica" è stata segnalata su "La dimora del tempo sospeso" qui. Ringrazio infinitamente il poeta e critico Francesco Marotta, gestore del blog.