A volte le poesie sono lunghe

A volte le poesie sono lunghe
così lunghe e noiose
che le parole stesse pare stiano lì
per necessità di cose.

Se dipendesse da loro
se potessero scegliere liberamente
si rimescolerebbero da sole
in un ordine differente.

Oppure staccandosi dal foglio
con le codine delle vocali alzate
fuggirebbero nel vuoto
o nell’ aperta quiete
nel buio
dove le raccoglie
nell’attimo infinitesimo e ispirato
il folle mietitore
che le fa poesia
in tutto il suo splendore.

Salutare non sature cose

Salutare non sature cose. che selvaggiamente erompono da un leggero multistrato di amianto. il metallo è un ricordo. di un treppiedi piantato al centro di un prato. i tubi di acciaio sono. dinamite esplodente. ho lasciato lungo un filare i miei passi. quelli che guidano ai padri. ai cipressi. ma qui la roccia spacca. non c’è ombra o sollievo. solo crepe di terra di pelle. come fratture del tempo le ginocchia piegate. la postura sbagliata è una vertebra curva del capo.

Tieni insieme le pietre

Tieni insieme le pietre
col fil di ferro dello sfondo
dove si stacca l’arco dell’ottocento.

Abita la torre
dove gli smerli trafiggono le nuvole
e solo ali interrogano il cielo.

Sii l’imperativo senza accenti
mentre traduci il vuoto in pieno
il nulla in fiori
il ventre in palpiti del nulla
e lotti con l’eterno
esterno estremo inferno
a sfrondare aiuole
l’immensità e l’abisso
di mammole e viole.

Ora dico

Ora dico
non crederete che possa affliggermi
per tutti i morti.

Io che sto nel guscio come un uovo
che cedo armi e nome
anche la firma per esteso
e ogni specimen depositato
io che sparisco ancora
per mano ancora d’altro.

(ce ne fosse di uomini salati
ce ne fosse scampati all’ippocampo
ce ne fossero nel vertice e nel talamo)

Non posso affliggermi vi dico
per tutti quanti
quelli che la terra chiama
nel suo grembo fuso.

Solo talvolta se qualcuno m’ha sfiorato
con la mano sugli occhi del mio sonno
solo allora che il mio mondo sterile s’è sciolto
qualcosa smuove la carezza
che piange dei capelli
la scomparsa.

Potessi trapassare in una goccia

Potessi trapassare in una goccia
che asciuga all’aria della notte
evaporare come luna
nei camini accesi
divincolare corpi rami desideri
spire d’ego piccoli trafitti
dal bisogno umano di prevalere.

Non a questo né agli altri

Non a questo né agli altri
non agli uomini
uno per uno noti negli intenti
di mordi al costato e fuggi
non ai gesti di rispetto
falso ai tronfi accademici
tutt’intelletto
ai nomi e pronomi
ai titoli ai giornali
non agli scempi.

Non alle mani infaticabili
a quelle tutte anelli
non ai risvolti lisi dei soprabiti
di povera gente
non alla fame
ai figli iscritti nei licei
alle lezioni di inglese da pagare
ai non credenti.

Non a me stessa
alle parole infinite
a ciò che scrivo
al poco che c’è non c’è
oltre attraverso dentro
il giorno che si nasconde
dietro la vanità
di un altro giorno
a niente di tutto questo
sono dovuti
riconoscimenti.

A questo posto

A questo posto
a quest’erba
al parlottare delle persone
al loro fiato acido sperimentato
alla morte che ha rigenerato
allo spirito sopito anestetizzato
a tutti i crocicchi di strade
i capannelli di gente
le denunce che hanno scoperchiato
a chi circola per strada
alla rabbia
al sarcasmo dei poeti giovani e dannati
a tutto questo consegno la disaffezione.

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