Tremavamo
con un bagaglio inutile
di tempo perso sulle spalle
e scarso quello a venire
boccheggiavamo stretti
alla gola da un cappio servile
chiedendoci quando mai un’aurora
un’acqua cristallina rose magnifiche
una qualche montagna violacea
a grappoli di glicine
o gli afodeli a puntare il cielo
foglie coriacee o tenere disposte
in colori variabili e in tutte le forme
e composizioni d’erbe a ciuffi o distese
nei pressi d’un corso d’acqua
o altro scenario fatto di rive scogli mare
sfondi di colline azzurrine
e casette rifugio tutte di legno
abbarbicate sui fianchi di montagne
imponenti e imbiancate
qualche bene insomma
per dirlo in sintesi e altrimenti
che derivasse dalle carte all’occorrenza
per similitudine alla natura
rendendole attraenti
e che dagli occhi o orecchie
scendesse più a fondo
della superficie o del torbido
a depurare il fango scostare i vermi
cementare la crepa
dare respiro a tutte le apnee
scatenare tutte le possibili farfalle
e nel tripudio di liberazione
rendesse percepibile
anche solo per un attimo
fosse pure una virgola
quella beatitudine
che gli uomini chiamano
felicità.