Articolo pubblicato su Limina mundi qui. Nel libro è presente tra gli altri un mio intervento del quale riporto in fondo a questo post la parte iniziale
Il libro “La scrittura che rivela – Dialogo con quaratatrè autori contemporanei”, a cura di Maria Pina Ciancio, è stato pubblicato da Macabor nel 2023 nella collana “saggi e antologie”. La copertina è un’elaborazione grafica di Giorgio Ferrarini dell’opera Sanftmütiger Zyklop (Ciclope mite) Ferdinand Seiler, 2021.
La raccolta accoglie gli scritti di alcuni autori italiani contemporanei sul tema della scrittura come atto solitario, intimo e privato, sul senso che la parola scritta ha per ciascuno e sul rapporto della scrittura con l’altro e col mondo esterno. Gli altri autori presenti sono: Maria Allo, Lucianna Argentino, Francesco Arleo, Eleonora Bellini, Domenico Brancale, Michele Brancale, Luigi Cannillo, Roberto Ceccarini, Maria Benedetta Cerro, Maria Pina Ciancio, Domenico Cipriano, Lorenza Colicigno, Pino Corbo, Anna Maria Curci, Mariella De Santis, Francesco De Girolamo, Annamaria Ferramosca, Fernanda Ferraresso, Antonio Fiori, Mario Fresa, Gabriella Gianfelici, Marco Giovenale, Stefano Guglielmin, Gina Labriola, Maria Lenti, Paola Loreto, Anna Rita Merico, Marina Minet, Ivano Mugnaini, Giovanni Nuscis, Rita Pacilio, Antonella Pizzo, Grazia Procino, Maria Pia Quintavalla, Daniela Raimondi, Alessandro Ramberti, Margherita Rimi, Loredana Semantica, Antonio Spagnuolo, Rossella Tempesta, Silvano Trevisani, Giuseppe Vetromile, Bonifacio Vincenzi
Proponiamo di seguito due stralci tratti dal libro stesso. Precisamente la parte centrale della nota di chiusura di Maria Pina Ciancio, e, più sotto, in carattere corsivo, l’incipit dell’intervento di Loredana Semantica. Il testo integrale e gli altri interventi potrete leggerli integralmente acquistando il libro qui o sul sito della casa editrice o negli altri store specializzati on line.
“Rileggendo d’un fiato tutti gli interventi raccolti in questo saggio, ho avuto la sensazione di sentirmi frammento di qualcosa di più ampio. Ogni intervento coglie aspetti, sfumature e modulazioni dello scrivere che spesso non avrei saputo dire o raccontare. Ci sono esperienze che mi sono più vicine, altre che mi illuminano e chiariscono, mi lasciano in riflessione. Ciò che ne emerge è la sensazione che la scrittura assolva in qualche modo a un tentativo di ricerca interiore e di conoscenza che taluni sentono come strumento, altri come compagna di viaggio. Ricerca dell’essenziale, dunque, dell’innocenza perduta, rivelazione di un segreto, esercizio spirituale, e tanto altro ancora. La scrittura, come si può leggere in alcuni interventi, può acquisire, inoltre, significato di rifugio e di salvezza sia dal dolore intimo e privato, sia dai grandi dolori del mondo e dunque, come direbbe Bukowski, si fa salvifica e terapeutica, mondo ritrovato, terra nuova dove poter vivere: «Sento che la scrittura è sempre lì, sento le parole azzannare la carta, e ne ho bisogno come non mai. Lo scrivere mi ha salvato dal manicomio, dall’assassinio e dal suicidio. Ne ho bisogno ancora. Adesso. Domani. Fino all’ultimo respiro.» Che la cultura, i libri, la scrittura salvi oppure no, non ha importanza, ciò che importa è che è un prodotto dell’uomo in cui esso si proietta, sfida se stesso, si riconosce. Ci sono poeti che vivono l’esperienza della parola come libertà, come scatto di ribellione, come appagamento e gioia creativa, altri come dannazione o precarietà, sofferenza, fatica, sudore, o addirittura pudore, inadeguatezza (mi piace sottolineare la parola pudore che oggi abbiamo pressoché bandito dalla nostra vita pubblica e privata a discapito della sfrontatezza e della sfacciataggine).”
Maria Pina Ciancio
Nel fiore della mia gioventù non avrei creduto a chi mi avesse detto che un giorno avrei scritto poesia. Ancora adesso faccio fatica a dirmi poeta. La domanda a cui rispondere tuttavia riporta più propriamente al termine “scrittura” e non “poeta”, cioè al prodotto e non al soggetto producente, e alle relazioni. Ritorno al tema e dico che la mia professione mi ha dato occasione di confrontarmi con la scrittura, apprendendo on the job un certo modo di scrivere burocratico che inizia con “si riscontra” e passando per la S.V., approda a “pregasi accusare ricevuta”. Più di recente va detto la comunicazione dell’Amministrazione pubblica ha teso alla semplificazione del linguaggio, sfrondandolo dalle tare del burocratese: forme passive, impersonali, oscurità di linguaggio, circonlocuzioni e altro. Ho gestito questo transito avvenuto nell’ultimo decennio, conoscendo però le impostazioni del passato. Già in precedenza gli studi di diritto mi avevano formato ad una scrupolosa attenzione per la terminologia, perché sull’uso improprio di un termine si può giocare l’intero concetto, l’intero esame, l’intera causa legale, un intero rapporto con l’altro, amico, estraneo che sia. Direi che preminentemente è lo studio ad avermi resa cauta nell’uso dei termini, a vigilare costantemente sulla parola usata, la singola parola e il loro insieme nella connessione logica dei termini. Ciò vale tanto nella parola detta che scritta, ma nella consapevolezza che l’espressione verbale è più imprecisa e volatile, mentre quella scritta è più studiata, ancorata a un supporto digitale o analogico, quindi più duratura e trasferibile nei luoghi e nel tempo, può produrre effetti lunghi e imprevisti anche nel rapporto con l’altro, secondo i tempi e la volontà di reazione, in relazione alla capacità di comprensione di quest’ultimo. Per questa ragione anche la chiarezza e la sinteticità erano altri “spiriti guida” della personale scrittura.
La scrittura è stata poi una sorta di salvacondotto nelle relazioni. Nel rapporto con l’altro ha sempre pesato la mia natura riservata, non desiderosa di apparire, accompagnata dalla percezione dei limiti di ogni mostrarsi/relazionarsi a causa della falsità e dell’inganno reciproco che esso concretizza. Per spiegarlo con maggiore semplicità, quanti falsi sorrisi spendiamo? Ciò ha reso la scrittura un mezzo per comunicare, interponendo il medium dei segni grafici e del loro assemblarsi che assume senso per convenzione oggettiva, maturata nel tempo tra gli uomini in significante e significato. Scrivere per me è stato da sempre perciò un modo per lavorare il più possibile asettico, comunicare, relazionarmi, potendo nello scrivere soppesare maggiormente il testo, evitare il contatto visivo e verbale perché questi ultimi, unitamente ai contenuti della conversazione privata, sono modalità con le quali le persone si formano la propria impressione sull’altro, formulano giudizi, apprendono informazioni private che poi trasferiscono o peggio ancora diffondono più o meno consapevolmente, inserendo e concorrendo a inserire ogni persona in schemi mentali-critici di valutazione e giudizio per servirsene a proprio vantaggio.
Loredana Semantica