La fine e l’inizio

La fine dell’anno e l’inizio del nuovo fa pensare a tutto il fare del tempo trascorso. In numeri. La cartella del mio lavoro fotografico anno 2014 contiene 3715 file d’immagini, di queste ne ho elaborate/pubblicate su facebook 342. Il file word dove ho trascritto i testi poetici del 2014 si compone di 30 pagine, 33564 parole, 279 righe. Il file word del primo libro dei “Dialoghi” (titolo provvisorio), che ho scritto quest’anno, è formato da 36 pagine, 7000 parole, 39905 caratteri e 332 righe, il file del secondo libro dei “Dialoghi” (sempre titolo provvisorio), ancora al suo principio, contiene 5 pagine, 914 parole, 5210 caratteri, 43 righe. Ho pubblicato con Decomporre Edizioni 2 poesie in un’ antologia. Ho tradotto alcune poesie di Emily Dickinson, Mark Strand, Wallace Stevens. Sul blog “Blanc de ta nuque” Stefano Guglielmin ha pubblicato una mia nota introduttiva al lavoro poetico di Giuseppe Samperi. Su facebook ho inaugurato il nuovo gruppo “La rosa di nessuno”, che coamministro con Deborah Mega e che si sta rivelando un’esperienza piacevole ed interessante. Tra le mie note  su facebook ho pubblicato un commento in margine alla finale dell’ultima puntata del programma televisivo “The Voice”. Sempre su facebook ho proseguito la gestione del gruppo – pagina Fuoco Visuale/Visual Fire e la cogestione del gruppo – pagina Beauty. Curo ancora questo mio blog “Di poche foglie” con tempi lunghissimi. E’ stato un anno come gli altri. Di buono c’è che posso fare ancora altro, proseguire nel 2015 la mia ricerca, andare ancora avanti.

Parole e cicale (Diario poetico di una vacanza)

Mi disse tempo fa un poeta che un giorno sarei stata in grado di modulare a tal punto la mia "voce" che avrei potuto dire poeticamente qualunque cosa avessi voluto. Mi è tornata in mente questa frase, mentre elaboravo giorno per giorno il mio" bollettino ferie" negli "stati" che ho pubblicato su facebook dal 16 luglio a lunedì scorso.

Ho completato il lavoro di assemblaggio di quei"bollettini ferie" e di alcune mie foto elaborate digitalmente e nell’insieme ho composto la mia quarta raccolta visual poetica dal titolo : "Parole e cicale" (Diario poetico di una vacanza).

Non so se quel poeta intendesse un lavoro, una voce, un risultato di questo tipo, intanto l’ho pubblicato, sperando meriti il tempo che qualcuno ad esso vorrà dedicare.

A questo link su issuu.

http://issuu.com/loredanasemantica/docs/paroleecicale

Silloge da sfogliare

http://static.issuu.com/webembed/viewers/style1/v1/IssuuViewer.swf

Ho scoperto questa bellissima applicazione  http://issuu.com/ che serve visualizzare come un libro i file pdf. L’ho sperimentata sulla mia prima raccolta "Silloge minima" Per sfogliare "Silloge minima"  cliccarvi sopra, nella finestra che si apre cliccare di nuovo per ingrandire e poi usare la freccetta > della tastiera per andare avanti.  Per chiudere la finestra usare il simbolo X in alto a destra della pagina.

Ora pro nomi(s)

Pubblico la mia terza raccolta visual poetica  in formato pdf autoprodotta. S’intitola “Ora pro nomi(s)”. Il titolo trae ragione formale dal fatto che ognuno dei 6 scritti in prosa poetica che la compongono ha inizio con uno dei pronomi personali della lingua italiana: io, tu, noi, egli, noi, voi, essi, ma non posso negare un chiaro e pertinente riferimento all’invocazione religiosa “ora pro nobis” rivolta alla Madonna e ai Santi nelle litanie del rosario. I testi della raccolta sono “uno squarcio sul presente”, le immagini un commento ai testi (o viceversa i testi sono un commento alle immagini) e nel contempo un omaggio alla città in cui vivo.

http://issuu.com/loredanasemantica/docs/ora_pro_nomis

 

Metamorfosi semantica

Pubblico una seconda raccolta visual poetica di testi (miei) ed immagini (di erremme), nata da una collaborazione con l’artista estravagante Roberto Matarazzo che ringrazio infinitamente.

La raccolta si intitola "Metamorfosi semantica" (d’amore e d’altri vuoti), cliccando sulla copertina qui sotto si apre il file.

 

La rifrazione luminosa della poesia

Tempo addietro, durante la mia collaborazione con “Rossovenexiano”, avevo elaborato sul tema “Che cos’è la poesia?” questo mini saggio, lì pubblicato il 2 marzo scorso. Di recente, avendo letto che l’iniziativa “Poeti” promossa da Lietocolle e curata da Anna Maria Farabbi, aveva nel suo primo foglio come tema lo stesso argomento, ho ripreso quel mio scritto, l’ho rielaborato, ampliato e, col titolo La rifrazione luminosa della poesia l’ho proposto come mio contributo all’iniziativa di Lietocolle.

Adesso il mio scritto è pubblicato integralmente qui . A seguire lo riporto.

La rifrazione luminosa della poesia

di Loredana Semantica

Nell’amore o ricerca o desiderio di un amore assoluto e indicibile si consuma tutta un’esistenza. E l’amore avrà vita in questa ricerca alle radici del sé e dell’esistenza per purissimo sopralzo com-passionevole verso l’ente o il fare (farsi parola ad esempio).

 

Rispondere alla domanda che cos’è la poesia non è semplice. Non lo è se con la domanda s’intende semplicemente distinguere tra il genere letterario poesia ed altri generi d’espressione verbale, ma il livello di difficoltà s’accresce enormemente quando, chiedendosi cos’è la poesia, si voglia trovare un criterio di valore, di pregio, di selezione, si voglia tracciare uno spartiacque tra ciò che merita il titolo di poesia e ciò che invece ne resta fuori.

Se ci si ferma all’intento di distinguere la poesia da altri generi letterari di comunicazione è illuminante leggere l’intervista del poeta Franco Fortini [1]

Ho accolto e reso mio il pensiero di questo autore nei passi  in cui egli definisce la poesia insistendo particolarmente sull’aspetto formale. E’ da questo suo convincimento che io ho tratto il mio semplice  convincimento, che è poesia l’insieme di parole disposte in particolare architettura (versi, strofe, spaziature ecc.) che riescono a comunicare attraverso i segni: significati e significanti.

La poesia si riconosce graficamente per la particolare disposizione del testo, si riconosce alla lettura per la particolare scansione acustica indotta dal verso e per altri elementi sonori del corpo testo (assonanze, allitterazioni, omofonie rime, pause ecc.),  si riconosce per l’intento di comunicazione.

Le espressioni poetiche non disposte in versi restano perciò collocate nella categoria affine della prosa poetica.

Il fonema (segno scritto o suono verbale) è il significante, in grado di richiamare alla mente un’idea che è il significato [2]. Nel testo poetico l’impiego dei significanti avviene nel tentativo di esprimere con essi verticalizzazioni ed amplificazioni che fioriscono d’ intensità, complessità, concetti, profondità, sentimenti, immensità, che, tra l’altro, manifestano da un lato il tentativo d’afferrare e condividere il bisogno d’assoluto che accomuna ogni essere umano, e dall’altro partecipano al mondo messaggi – forse di bellezza? – perché esso ne sia pervaso, sconvolto, ammirato.

Questo fa di un testo poesia. E’ per questo che “la vera poesia può comunicare prima ancora di essere capita” [3].

Quanto più l’architettura composta riesca a risuonare nella mente del lettore, quanto più in essa provochi meraviglia, ammirazione, stupore, tanto più lo scritto sarà poesia.

Ora però questo criterio soffre indiscutibilmente di un limite, infatti mentre il criterio formale del quale ho parlato all’inizio è imprescindibile e oggettivo, il criterio dello “stupore” trasuda soggettività, non è indispensabile al concetto elementare di disposizione in versi ed inoltre è contingente, ossia la bellezza che riscontriamo in un testo poetico tanto più sarà percepita dai nostri occhi ed orecchie quanto più essa intercetta, nella forma e/o nel senso, il nostro stato d’animo, la nostra sensibilità, le nostre corde, le esperienze umane vissute, le preferenze d’argomenti o il gusto.

E’ certo questo è troppo poco per ergerci a giudici della beltà di un testo, ma non per essere lettori ed estimatori del genere poesia, infatti vi sono lettori appassionati o esperti, in grado di “sentire” la poesia per esperienza, per il solo fatto di averne letta così tanta da aver formato ormai un gusto sicuro,  affinato da una coscienza critica ap-provata.

In ciò che ho esposto resta  di contro indefinito il momento, il nucleo, il punto da cui sgorga poesia, se da una frattura dello spirito, se da un vuoto avvertito incolmabile, uno spazio nascosto,  una devianza della sensibilità, un’alterazione delle coordinate vitali, se trasuda come uno squarcio di luce in un pozzo di nere profondità oppure se nasce per un desiderio di capovolgimento e riscatto, o ancora se è voce che grida o sussurra impotente perché diventi potenza a spaccare le pietre.

Il corpo poetico, l’insieme delle poesie di un autore sono la sostanza del suo dire ed insieme  il travaso del suo spirito o pensiero, ogni poesia parzialmente e l’insieme delle poesie nell’intero rifulgono del brillio della sua anima con tanto più fulgore quanto più profondo è lo sgomento che le partorisce, esse  conducono come un flusso dall’interno all’esterno, una spinta, una massa, un fermento verso un’idea di bellezza, di miglioramento o un desiderio di trasformazione, di metamorfosi.

La poesia è sempre frutto di un’ istanza profonda a sovvertire lo stato di melma.

Non sempre il conato di rivolgimento è espresso e palese come nella poesia civile, ma sussiste anche quando è inespresso, latente in poetiche che apparentemente si dedicano ad  analisi e discernimento dell’animo e delle vicende umane, che esprimono perciò un malessere individuale rifrazione di quello sociale.

Poesia è allora specchio del sé, un confrontarsi con l’io che morde sotto la scorza, un guardarsi con occhi impietosi a conoscersi nei limiti e aneliti, la poesia nasce  per attraversamento di abissi per voli tra altezze, per sprofondamenti nei baratri, è discesa e ritorno recando tra i denti i morsi del fondo, è ricerca dell’oltre e dell’altro, uno spaziare e scavare nell’antro nascosto, rivoltare le anse mentali come una zolla. Disperato graffiare a cercare tra i ciottoli e l’acqua nello scorrere in fiume preziosità a rastrellare.

E’ un bene che si inizi a scrivere poesia sotto un simile impulso feroce, questo sarà spinta dolorosa e durevole, una fiamma che arde e consuma, la poesia sarà sbocco di questo magma, ma non si perviene alla poesia solo per una sorta di “rivelazione”, si inizia a scrivere anche per gioco, per amore della parola, sperimentando la bellezza di ogni vocabolo, assaporandone il suono, componendo e scomponendo costruzioni verbali, nella meraviglia della molteplicità di armonie e costruzioni che si è in grado di produrre, come in un caleidoscopio.

Si inizia a scrivere per dare voce ad un pensiero altrimenti inesprimibile o verso il quale si  è giunti al convincimento che nessuno ha interesse o pazienza di ascoltare, per dirlo con sintesi, con alate parole, per dare prova di saper giostrare con le parole.

Si può scrivere anche per imitazione, per desiderio di emulare il lustro di poeti predecessori, per un atto di superba vanagloria, per dare senso a studi letterari come se scrivere ne fosse la naturale prosecuzione o per consegnare ai posteri il proprio lascito mentale: un’illusione d’immortalità.

La poesia è una risposta alla vanità del parlare, possiede il dono della chiusura e dell’apertura, quello della sintesi e dell’ampliamento, quello di poter esprimere i particolari fino a scarnificarli e di contro la capacità opposta di sussumere in un solo termine, per rimandi, assonanze similitudine e metafore, decine di significati.

E quest’ultimo passo ci apre al mistero insoluto che nel verso si offre perché venga dischiuso. Una porta che affaccia all’indentro, un sentore, una lacrima , un’ eco, un sorriso. Non sempre la poesia dice con un linguaggio trasparente, non sempre è acqua, vetro, cristallo che si penetra in senso al solo guardare. Più spesso è una rosa, un bocciolo, una corona di petali concavi l’uno accucciato sull’altro a chiudere dentro il tesoro.

Essa è fiore che sboccia e nella lettura dell’altro fiorisce di comprensione e condivisione. Di comunione.

Si giunge per molte via a percepire la vocazione poetica, ma non è detto che sia autentica, ma non è detto che sia consapevole. Non è detto che chi scrive in poesia abbia da subito presente la responsabilità di dire in poesia. Di avvalersi cioè della forma espressiva più sacra ed antica, inutile e scardinante,  difficile e meravigliosa.

Essa è cucchiaio a raccogliere il mare. Il racconto, la descrizione, i particolari, l’emozione, ogni espressione comunicata in poesia restano tentativi di consegnare un messaggio la cui importanza, completezza, pienezza è, per quanto cercata e diversamente raggiunta a seconda della capacità poetica dell’autore, impossibile a rendersi nella sua perfezione assoluta.

Nonostante ciò si scrive con impegno e labor limae, si affina il testo prestando attenzione alla preposizione, all’articolo, alla virgola provando e riprovando anche per giorni e giorni, se non per anni, a trovare il lemma che dica, che suoni che risponda esattamente all’eco che risuona interiormente.

Ecco perché poesia è anche arte, capacità di dare alla pasta la forma voluta, una capacità di poein di costruire, fabbricare, come un vaso d’argilla, un arnese di ferro, i biscotti, un fare che si tramanda e si apprende, che  si affina con tempo e richiede maestria, in ciò la poesia è una forma di artigianato, per quanto sia preferibile che essa  attecchisca su una dose di innato il talento, una grazia naturale a saper comporre, a saper affondare la lama lì proprio dove il cuore batte pulsante, a dare al verso respiro con tempi perfetti e sublimi invenzioni verbali: uno spirito che sappia volare.

E nel volo la poesia è ancora libertà. Nel rivolgimento della parola, nel lancio di spinta, nelle sue infinite possibilità, essa, la poesia è liberazione dai limiti, mostri, paure, dai lacci, dai paletti a fissare, dalle costrizioni. E’ via di fuga, è dare spazio al cielo per ancoraggio all’immensità. In questa sua potenza liberatoria sta anche la funzione salvifica che alcuni attribuiscono alla poesia come forma espressiva nella quale convogliare per concentrazione e conversione positiva gravami che minano menti fragili, sensibili e creative. Così sono nate le poesie della Plath, così quelle di Anne Sexton.

La molteplicità di essenze che ho ricondotto alla poesia suggerisce un parallelismo azzardato tra la poesia, preziosa forma espressiva, e una pietra preziosa,  capace di rifrangere luce in tripudio di colori e riflessi che ipnotizzano ed affascinano.

Un fascino poetico che non sembra destinato a tramontare.

Scrivono tanto oggi i poeti e tanto pubblicano e si leggono tra loro e nel mondo,  vogliosi di dire o successo a salire, scrivono anche i non poeti, su un quaderno segreto o più modernamente su un sito internet, a volte convinti di rispondere ad una chiamata di vocazione poetica, più semplicemente inseguendo un anelito del momento o per esprimere un’idea a se stessi o ai loro lettori.

Si illudono in molti di contribuire con ciò al raggiungimento di una verità  che illumini se non quella dei lettori almeno la propria esistenza, illusione è vero, speranza forse e legittima in fondo, ma nel tempo è dato che la poesia di alcuni, solo pochissimi e grandi, si apra in splendido fiore a diventare luce anche per il resto dell’umanità.

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