A proposito d’amore

A proposito d’amore volevo dire
di non arrendersi alla nebbia dell’io
allo sconforto alla vanità delle pretese
al solletico delle corde ai preconcetti
edificati da voi stessi o dagli altri
di amare sempre intensamente
anche perdutamente
perché nei disegni celesti infiniti
l’amore torna sempre
senza vincolo di sembianza o forma
in modalità inaspettata e sorprendente
con la stessa intensità della spesa
e vi riempie di gioia infinita
preferibilmente segreta
meravigliosamente.

Ora scartato il cioccolatino
mangiate pure la verità
del bigliettino.

Tremavamo

Tremavamo
con un bagaglio inutile
di tempo perso sulle spalle
e scarso quello a venire
boccheggiavamo stretti
alla gola da un cappio servile
chiedendoci quando mai un’aurora
un’acqua cristallina rose magnifiche
una qualche montagna violacea
a grappoli di glicine
o gli afodeli a puntare il cielo
foglie coriacee o tenere disposte
in colori variabili e in tutte le forme
e composizioni d’erbe a ciuffi o distese
nei pressi d’un corso d’acqua
o altro scenario fatto di rive scogli mare
sfondi di colline azzurrine
e casette rifugio tutte di legno
abbarbicate sui fianchi di montagne
imponenti e imbiancate
qualche bene insomma
per dirlo in sintesi e altrimenti
che derivasse dalle carte all’occorrenza
per similitudine alla natura
rendendole attraenti
e che dagli occhi o orecchie
scendesse più a fondo
della superficie o del torbido
a depurare il fango scostare i vermi
cementare la crepa
dare respiro a tutte le apnee
scatenare tutte le possibili farfalle
e nel tripudio di liberazione
rendesse percepibile
anche solo per un attimo
fosse pure una virgola
quella beatitudine
che gli uomini chiamano
felicità.

In questo giorno santo

In questo giorno santo
della Madonna nera
a cono coperta
da un manto tutto d’oro
invoco la benedizione celeste
sugli amici passati e presenti
falsi virtuali veri promettenti
sul futuro di questi mondi
invasi dall’inumano sui mori
palestinesi e persiani
sulla fratellanza smarrita
acché presto sia ritrovata
ingrottata nella mangiatoia
sotto il fiato d’ asino e bovino
davanti a uno stuolo di pecore
belanti il gloria dei cristiani
sulle carovane seguaci di correnti
curiose fastidiose scodinzolanti
che accorrono agli eventi
con scorci tragici o dementi
sulle nature eremitiche che coltivano
l’autentico sempre più fragili
ignote ignorate ignoranti
vacillanti di tosse isolate e infine
sui miei polmoni fracassati
e il mio torace in forse.

Dovrei raccontare

Dovrei raccontare le tue stesse cose
quel contemplare deviato da distrazioni
collocate nei luoghi più impensati
dove si scatenano pensieri
inanellati in lunghe catene di cobalto.

Dovrei dialogare al tuo stesso modo
con il pezzo di vetro lucente occhieggiante
a lungo dimenticato nell’angolo sepolto
tra la porta della cucina e lo scaffale
stipato di innumerevoli cose utili affastellate
dire dell’arte del rinvio e dell’attesa
dell’ordine scompigliato continuamente
da nuove priorità di un tempo governato
dall’insufficienza celestiale.

Dovrei poi scrivere una poesia come la tua
aperta alla penetrazione di molteplici sensi
nel verso lungo e particolare dell’ attenzione
onorare la lingua della lentezza e del quotidiano
piegarmi a raccogliere ogni frammento
porre l’ultimo dinnanzi a me sul tavolo pregiato
osservarlo con raccolta attenzione di scienziato
vedere la timidezza del vento l’ampiezza
del cielo sul lato destro tagliente
infine assaporare lo specchio di me
la potenza uguale del creato.

Spegnerti come potessi

spegnerti come potessi
una lampada
che luccicante fervore
s’accende per lo sguardo
al ricevimento d’ occhi
come traguardo come sollievo
ora che non rispondi e neghi
volti le spalle e t’involi
ecco un epilogo scontato e lieto
tutto risolto quindi in questa pena
che dissipa costantemente dissipa
lo squilibrio nel possesso
spiace solo che
non abbia compreso la certezza
l’indignazione della modesta offerta
non dell’anima ma del sesso
che offrirsi nudo
ed essere rifiutato solo
questa sarebbe stata
malagrazia

Prima che s’indurisca

Prima che s’indurisca
prima che si raffreddi
prima che tutto il corpo
marcisca ignaro e indifferente
per ogni volta che a capo chino
il lavacro e i tentacoli
per ogni lavacro tentacolare
per i segnacoli incolti
ignoti segnacoli inconsapevoli
per la scimitarra e la ciminiera
per il drago che urge sulla schiena
per le scuse travolte e tradotte
in ogni messaggio ai quattro venti
come un’eco
per lo svenimento che si alimenta
d’ansia traumatica riversa
in ciò che conviene
per consolazione di tutta la banalità
dell’irrisolto mondo
la rossa granita sanguigna
di fantastici gelsi.
Ve la offro se volete.

Ecco noi siamo qui

Ecco noi siamo qui
intersecate femmine celesti
noi che liberiamo l’alba dei nostri voli
e le grida di giubilo interiori.
Voglio che sia bellissima questa
mattanza di parole
voglio che investa i vostri cuori
fino a mostrare le rotule scoperte
denudare l’anima nell’impeto iridato.
levando lance scudi percuotendo
i ferri della guerra.
L’eterna lotta di riconoscere il creato
nei punti e nelle virgole distorte
cercate nella sabbia fin dentro le scapole
scavando granelli nel vetro più fine
confessando l’ansia perfetta
maledetta di godere
di un maestoso controllo
del cinguettio.

Nulla è sicuro oltre la porta

Nulla è sicuro oltre la porta
solo il crivello che cerne la farina
mia madre me ne ha lasciato uno
è un po’ bucato ma serve ancora all’uso
al lievito fa gioco il suo potere
intanto scrivo ancora
ti perdono.

A me piace del mondo

A me piace del mondo la dimensione
che ti si porta addosso come camicia
confortevole e buona
fresca in estate e nel tepore d’inverno.

Mi piace d’avere tempo e respiro
per gli svaghi per scrivere gli amici
mi piace la sosta del pensiero
che procede a sbalzi ed improvviso.

Che s’accende di voce nel bianco
come adesso sereno nel cuore
di questo dolce capodanno
col dono ricco e insperato
degli auguri cari.

Come abbandono la grandezza

Come abbandono la grandezza
è uno stadio ulteriore del distacco
come sganciassi gli argini i vestiti
slegassi il corpo dai lacciuoli
respirando l’epica di madre
liberando lo spirito dai falchi
voli d’albatri e ambizioni
relegando i grandi stessi
nel teatro dei bisogni
fragili e mortali.

Diventa piccolo il trascorso
nell’attesa che si compia
la risoluzione dei cavalli
che corrano i miei angeli
puledri al vento
degli inganni.

Una castagna come scafandro

Una castagna come scafandro
anzi il suo guscio riccio coatto
impervio covo spinoso
e la polpa al suo interno
d’amido dolce
che clampa e sfarina.

Una frode d’angeli e cruna
l’ago e la frana
una scarpa una croce
lo scarto fantastico
la deviazione.

Ecco la ferita

Ecco la ferita
come un taglio a cuore morto
gli dico non batte
intendo che è ormai sordo
l’altro incombe
dal suo punto interrogativo
non ci crede
mi guarda sbalordito
poi sorride.

Non scriveremmo un bel niente

Non scriveremmo un bel niente
se non avessimo qualcosa da dire
un rospo o un groppo in gola
una pustola sul naso
un neo a rilevo sulla guancia
o sullo stomaco un pelo
riccioluto e nero.

La polvere spazzata nella casa
nascosta sotto al tappeto
duecentocinquanta scheletri
bianchi nell’armadio di vetro.

Con o senza paglia
di stampa o di cometa
una lunga lunghissima coda.

Sapessi come tutto gira

Sapessi come tutto gira intorno
senza senso
c’è un bla bla immenso
nel quale non mi riconosco
quattro fessi al tavolo di fronte
parlano e ridono
con la bocca ripiena di cibo.

Masticano parole
triturando con i denti
pane salame e formaggi
ragusani.

Sapessi che sollievo sentirli
almeno umani
non alieni o mostri ottusi
incapaci di comprendere
la distanza invisibile
che s’interpone.

Io cerco la radice
trovandola nel cuore
scrostando intorno ad esso
a metri spessore di marcio
in superficie.

Io voglio immagini che dicono
bellezza allo sguardo
voglio la morbidezza della pelle
tua sotto la mia mano
la tenerezza che ricorda indicibile
i molti anni insieme.

Potrei ogni parola

Potrei ogni parola

sughero biscia quadrilatero

potrei vederla libera danzare

crepa silloge ossimoro

mentre disinfetta la bocca

cuneo forchetta lavatrice

e sputarla tutta nel lavabo

colbacco cosacco risata

come collutorio gengivale.

Il vero artista

Il vero artista è un pazzo
che si riconosce dalla sua pazzia
la stessa che anima le mani
il calco dei lavori suoi
come una frenesia di fare
dire plasmare trasformare
il vero artista è un dio
che dal nulla crea
come dal fango la sagoma del corpo
una meravigliosa idea.

Io dico che rotola

Io dico che rotola
come camaleonte che avvolge la lingua
sgancia il fringuello sulla farfalla
come un serpente che sibila spire.

Basta che il fiume attenda
scorre un fatto di cadaveri e sponda.

Io dico che affonda
e non è chiaroveggenza solo un briciolo di conoscenza
caduta dal piatto di Dio.

Qualche volta penso

Qualche volta penso
che non potendo intervenire sui tifosi
demolirei gli stadi
rischierei il linciaggio oppure la rivoluzione
scioglierei ogni forma di società e associazione
vieterei i campionati nazionali e internazionali
così che il calcio fosse nei campetti
giocato da quattro ragazzetti
vorrei che fosse semplicemente un gioco
come vorrei che scomparisse ogni forma di corruzione
in compenso di tanto scempio ho preparato uno dono
vorrei che l’uomo fosse uomo.

Fermati sul ciglio

Fermati sul ciglio della strada
l’erba sa di campo
i fiori baciano le nuvole
apri le braccia e osserva
come ruota il cielo sulla testa
sei dentro l’universo
il centro perfetto del tuo mondo
piccola come una formica
nell’immenso.

Sappiamo che c’è (per S. Valentino)

Sappiamo che c’è
lo abbiamo incrociato talvolta
guardando a distanza
la sua lunga coda di fuoco
sappiamo che brucia
brucia i fiori passando
e l’erba brucia
brucia la bocca
le labbra e gli occhi
brucia anche l’aria nel cerchio
il cerchio è di fuoco
quando la frusta schiocca
salta la tigre dell’amore.

Pensa se

Pensa se per ogni punto scappato
tu filato liscio lavorato
se per ogni maglia accavallata
e dritto e rovescio e una gettata
se a centimetri sette dal vivagno
tu operaio della lana
tessitore di lucertole nel sole
se tu dicevo imperversassi
allora sarebbe festa di domande
i punti scapperebbero tutti quanti
io con le braccia armate d’oro
e mohair salmone in doppio coro
il collo e volto e labbra
coprirei di poesia calda
direi ancora un’altra
promesso con lo schiocco
e con mani folli sfarfallando
farei fiorire gli elefanti
tortora tessuta ai sette ferri
miracolata e tutta santa.

Vi consegno l’occhio fantastico

Vi consegno l’occhio fantastico
l’interminabile volo i caroselli
le albe magnifiche
i castelli
l’aria che frullando li riempie
le dita instancabili come
le piume degli uccelli
liberi nel cielo
le loro ali e gabbie e penne
l’incontinenza delle rondini
dentro le loro evoluzioni.

L’estate dell’anno

L’estate dell’anno duemilatredici
benedetto dal signore
sarà per sempre dei voli
battezzata senz’acqua col suo nome
dall’aria da un occhio imperfetto
dalle mie folli mani

A volte le poesie sono lunghe

A volte le poesie sono lunghe
così lunghe e noiose
che le parole stesse pare stiano lì
per necessità di cose.

Se dipendesse da loro
se potessero scegliere liberamente
si rimescolerebbero da sole
in un ordine differente.

Oppure staccandosi dal foglio
con le codine delle vocali alzate
fuggirebbero nel vuoto
o nell’ aperta quiete
nel buio
dove le raccoglie
nell’attimo infinitesimo e ispirato
il folle mietitore
che le fa poesia
in tutto il suo splendore.

A oriente spopola il poeta

A oriente spopola il poeta
che scrivendo muove a commozione
nemmeno la Szymborska
fa eccezione
e sì che nei suoi scritti
c’è anche l’umorismo fine
lo scherzo e l’ironia sottile
ma muto sempre in fondo alla sua gola
trema un qualcosa che somiglia
al pianto.

In Italia siamo molto avanti
la poesia è tutta un’altra cosa
controllata in qualità
dalla giuria
viene classificata con il voto
le mettono il bollino come alle banane
è scartato
chi pecca di sentimentalismo
maturo è il poeta che con cinismo
racconta freddamente
l’universo del suo mondo
usando poco o niente affatto
l’io.

Io profondo uova

Io profondo uova
in questo tempo rapido di gusci
sbatto un amore veloce
afferro l’attimo nebuloso del ritmo
ch’è un rimbombo mentale
albume che frigge nel piede
e sperimento il tuorlo di ciò che sono
spremuta gonfia d’oliva
perfetta frittata
d’artista mancata.

A volte

A volte troppa rabbia ci affoga

equilibrio è dominare noi stessi.

Esistono per questo i fiori

il respiro del vento

il cielo.

Siamo una rovina decapitata

Siamo una rovina decapitata
meno di una finestra grigia nell’ombra aperta
in alto a sinistra dell’edificio
con le persiane verdi sui panni stesi
un’apertura sulla strada nuova
parallela a quella che quando risali
ha il mare alla sua destra
scendendo verso Ortigia viceversa.

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