Annegare

Annegare
assomiglia a qualcosa
di noto da tempo
eterno come
il cuscino di piume sul quale
giorno dopo giorno
poggio il capo nel sonno.

Un oggetto familiare
che ho abbracciato per anni
più dei miei cari
meno della rivolta mai sedata
che ancora mi squarta
giorno dopo giorno
irragionevole e sgraziata.

Non si legge poesia oggi
né si scrive oggi poesia
si lascia andare il mondo
si lascia andare
si lascia.

Come torace d’uccello

Come torace d’uccello
la gabbia d’ossatura leggera
è pronta a spezzarsi
al primo soffio o colpo d’ala.

Eppure la struttura regge la morte
e l’amore regge con la stessa
cosmogonia del cantore
congiungendo i vertici
e gli estremi nel parossismo
drammatico dell’aldilà.

Ti parlerò

Ti parlerò di quella potenza
che fuoriesce intatta e muta
latrando mentalmente
verso i tuoi passi frettolosi
condotti a testa bassa
nei pressi e di sfuggita
opposta all’altra ostentata
che entra mentre parliamo
con tutto il biondo seguito stempiato
pallido di applicazione a carte
risate ricorsi tra un essere e l’altro
uno alto uno basso uno minuto
in fila a salutare come fosse
omaggio dovuto alla partenza
come si aspettasse una notizia
di licenziamento o trasferimento
un qualche allontanamento
liberatorio di catene
per cui brindare
alla salute rimasta
ai cani.

C’è modo di sfuggire al mondo?

C’è modo di sfuggire al mondo?
Una coperta non basta
non basta coprirsi gli occhi
farsi piccoli appiattirsi
al muro invisibili non respirare
non vivere quasi.
Alcuni raccontano d’essere
sfuggiti così al massacro
e lo possono ancora ricordare
altri invece no.

Sia ogni giorno il giorno
della memoria per gli istriani
indiani semiti salentini abitanti
di Sarajevo ed africani e per tutte
le città occupate da invasati
per tutti i luoghi dove l’uomo
ha vomitato vertici violenti
d’abiezione in nome
di una qualche falsità.

Dal culto dell’io potente
ricco apparente appariscente
traghettiamo verso l’avversione
al debole al diverso all’estraneo
che si appropria del nostro.
Credo che neanche tra le scimmie
questa si chiami evoluzione.

Avvertenza importante al lettore
il presente testo poetico
è circolare
come la storia.

Eccovi integro

Eccovi integro scodellato
scolato del suo liquido
condito riccamente e saporito
il nostro più autentico
amato fallimento ieratico
dove convergiamo penduli
capovolti inanimati
vedovi di speranza
crocifissi di pena
curvi e imbiancati
nell’evviva impassibile
della litania

Alla fine vivere

Alla fine vivere
è qualcosa di carnale
un vagito materiale
d’ossa e aria
il cibo che nutre
l’ossigeno che invade
tutto ci riempie di una pienezza
monca nella quale sostiamo
indefiniti.

Siccome non l’ho espresso

Siccome non l’ho espresso
il mio pensiero non esiste
quand’anche l’esprimessi
sarebbe travisato
quando non usucapito
come il vestito di un altro
corpo come se fosse
la sua bandiera
nel loculo mai visto
del più bieco opportunismo.

Ma che diciamo poi

Ma che diciamo poi
con le parole più care
infiniti sbadigli un calco di mani
lui dice hai spezzato un cuore
lei un trofeo di battimani
opposto al corpo minuto
è una sconfitta morale
che veda l’intruso scalare
i giochi ottusi del potere
dove chi passa pieno di sé
crede al proprio valore
chi resta si addolora
la vita è ogni giorno più dura
di controversi legali
la percorriamo di sbagli
tra i tasti di un pianoforte
e un camice che stringe
il torace la vita è una musica
triste che apre le braccia
senza volare

Alcuni scrivono

Alcuni scrivono senza contare nulla
nemmeno il pezzo di pane alla bocca
scrivono senza criterio per solo colpo
su colpo per rabbia e per sfida
per strappare di occhi i travagli
per non avere strisciato oltre l’orlo
per lo strapiombo del corpo per il cervello
bacato per non avere capito neanche
di avere sbagliato scrivono i soliti nomi
salvando le spese i contrasti
divorando le carni ed il pianto
dei laghi infinito bruciante
che sale bagnato alle sclere per la
stanchezza soltanto la stanchezza
assoluta irretita bastarda
che consuma la voce e lima la vita
strozzando il canto e le righe ogni
speranza di luce spingendo le mani
gloriose fin oltre le istanze
il burrone.

Ho un po’ di vomito

Ho un po’ di vomito
che langue
sulla punta della lingua
l’angoscia dello spillo
che trapassa il cuore
non c’è riposo non c’è onore
tutto è un vasto cumulo di sesso
che stupra l’acciaio
che lo infarina

Io fiorisco tra le mani

Io fiorisco tra le mani
un ventre meraviglia
tra l’omero e la spalla
tra i feriti
un calco osseo di brina
stuporosa.
 
Non è l’estate che mi chiama
non gli amici
è il lato oltre la facciata
umbratile scostante
da dove incombe l’autentico
il dolore.

Ti aspettiamo ancora

Ti aspettiamo ancora
ancora ti aspettiamo
come si aspetta l’aurora
quando è notte
anelando al cinguettio
che riempie il mondo
di un nuovo giorno.

E l’attesa di te è infinita
una continuità di vita
qualcosa che consuma
la cera una candela
che mirabilmente
brucia senza fiamma.

Saturati i trabiccoli di luce

Saturati i trabiccoli di luce
io carastampa maledetta
ti scapicollo sulla pagina
come trovassi un trogolo
una sbornia
e tutt’a un tratto impavida
in lira calzamaglia
dirompessi l’anima di stracci
ululassi il nome degli anfratti
cementando fame fiere fronde
un senso atavico d’insufficienza
la rabbia fragile dei timpani
e l’animale che s’impianta
rivolge al trapano sociale
l’amara voce
accende la lampada in domanda
già detta sottratta sottaciuta
quella di sempre oppure un’altra
preceduta ogni volta dal perché.

Un fiore placa il terrore

un fiore placa il terrore
placa l’ansia una luce fioca
tanto se c’è da morire si muore
con una pallottola in fronte
con le carni straziate
le mani gelate
sussultando
scarpe bambole sangue

diremo poi
all’altare dell’Unicità
noi almeno abbiamo vissuto
coi santi dei valori cristiani
occidentali e musulmani
fin dentro la terra
liberi e umani

La morte ha bisogno

La morte ha bisogno di rispetto
la morte di qualunque essere intendo
io comprendo
gli elefanti che cercano un rifugio
d’ossa dove andare a riposare
e gli altri animali che si nascondono
per essere soli nel trapasso
lontani dagli occhi dei simili
e diversi.

Sulla terra
la nascita come la morte
non ha stimmate gentili
si confronta con la luce
che sputa o che divora
e poi proietta
probabilmente la morte
è anche porta.

Uno dopo l’altro

Uno dopo l’altro muoiono i poeti

pare si ritrovino nell’oltre

che è non si sa bene dove

pubblicati e impubblicati

minuscoli e ignorati

negati e rinnegati

suicidi e suicidati

tutti si ritrovano

dove non ci sono né piccoli né grandi

né accade come alcuno dice

che gli ultimi siano i primi

né che le pietre scartate siano testate d’angolo

perché non c’è edificio di mattoni

lì dove sono

ma sono loro l’edificio

un solo corpo unanime

senza carne ossa sangue.

Ci sono giornate dominate

Ci sono giornate dominate dal senso del ridicolo
una cosa mista al patetico e poi
da una speciale inutilità
quelle sono le giornate prostrate del poeta
ve ne regalo quante volete
dentro ci trovate pena e pazienza
il senso di una quieta rovina
mista a un quarto di catastrofe
una dose potente di disprezzo
una ventina di chiodi di garofano
questi ultimi nella funzione naturale di anestetico
la spremuta di tre limoni per antiemetico
il tre nella funzione scaramantica della perfezione
il quarantadue per cento di depressione
la previsione che domani
passata la bufera
saranno reliquie di tanto scempio
il reflusso gastro-esofageo
il dono della consapevolezza
la dominazione perfettibile della parola.

Gli amici sono quelli

Gli amici sono quelli che ricordano
il tuo compleanno
il nome di tua moglie
dove abita tua nonna.

Gli amici poi ci sono
specie quando aumenta il tuo bisogno
sugli amici puoi contare
trovano la soluzione dei problemi
sono la panacea di tutti i mali.

Ode agli amici veri
che ti aiutano nel salto
quando hai il sogno di volare
e si tengono le ali.

Nausea

Nausea
è quello che mangio
quello che vesto
quello che vedo
è come dormo
come mi sveglio
quello che ho
non ho
vorrei
il poco tempo che mi resta.

E’ come se li digerissi tutti

E’ come se li digerissi tutti
a poco a poco
masticando il pane
della parola
che lascia nella bocca
un suo sapore

E’ come se non credessi
come se tutto fosse
un vestire di parole vuote.

E guardandoli negli occhi
appena un poco
quel tanto che lo sdegno regge
ricordo loro che dopotutto
tutto ha un peso
e l’onda di risacca
il suo ritorno.

E’ come se li risputassi tutti
quando la saliva cola in gola
e s’addensa sul fondo della lingua
e schiuma le parole nel respiro
e respira annegando la parola.

Ci sono un poco di morti

Ci sono un poco di morti
sulle quali qualcosa dovrei dire
della nipote della mia collega
falciata sulla strada
a tredici anni ad esempio
da un giovane ubriaco.

Suo padre ieri le ha comprato la borsa
che desiderava tanto
rossa di Armani per regalo
la madre ne posta su fb la foto
te l’ha comprata papà tesoro
buongiorno la mattina e buonanotte a sera
io non so se questo allevi
il dolore della morte.

Sulla spiaggia intanto allineano lenzuola
come bozzoli giganti di farfalle
salme di carne da macello
il fuoco brucia l’ali come carta
il fumo intossica la vita
e l’acqua annega nel sangue
che scoppia in testa anche il respiro
tutto accade
senza che si muova un dito
per soccorso e poi
si grida.

Respira profondo e taci

http://it.peacereporter.net/articolo/8396/

Respira profondo e taci
taci e respira profondo
recita quando serve il mantra
del coraggio
i monaci scelgono la morte
facendosi imbalsamare dalla vita
mangiando bacche di bosco
semi nocciole cortecce radici
e un infuso tossico per vomitare.

Tu invece combatti
non smettere di lottare
non c’è alcuna gloria
a farsi mummia per restare
incontaminati e intatti
come un tempio di carne
rinsecchita.

Si decomponga il corpo
com’è sua natura a fine corsa
e torni a far parte del ciclo vitale
in un fiore un albero
nell’erba verde
nel rosso di un papavero
nei chicchi perfetti di un melograno
di una spiga

Tuona che sembra

Tuona che sembra si spacchino i cieli
e il fulmine squarcia senza pietà
allo stesso modo vorrei
che mi si strappasse il petto
di tremendo fragore
senza dolore
una cosa atmosferica naturale
liberatoria fenomenale
come se l’accumulo dentro
fossero nubi pesanti d’acqua
che necessita al suolo
gli dà vita e ristoro
mentre gorgoglia nella bocca
e gonfia
un grumo nero
che lievita pioggia.

Io degli umani posso raccontare

Io degli umani posso raccontare
i derivati ossimorici del tanfo
gli occhi bastardi
gli offesi gli assurdi i vilipesi.

E quand’è notte che arriva la deriva
ché nel sonno s’alzano i mostri
quelli interiori quelli degli altri
senza lo scudo di una casa
brancolano tra le braccia buio.

Dicono che si scrive

Io non scrivo per rompere il silenzio
ma per proclamarlo

Dicono che si scrive
per non imbracciare un fucile
e sparare.

Io sparerei a volte
non a ladri assassini e stupratori
folli balordi e disonesti
ma alle persone normali
tutte prese dalla loro normalità
di esseri superiori.

Poi contemplandoli da questa rocca
girerei il fucile
e mi sparerei in bocca

Dobbiamo uccidere la bestia

Dobbiamo uccidere la bestia
quella che vola e l’altra che morde
siano in groppa le ali dense
e piume aperte a ventaglio
come le mani sul mondo (bastardo).

Dobbiamo conficcare i tori
con un affondo di banderillas e spade
non più di cinque
fino a vederli crollare
sul suolo di sangue
una riga sul collo.

Sull’amore

Sull’amore potrei dire molte cose
che a volte è dolce ad esempio
e gronda dalle ciglia miele
oppure fonde come cioccolato al sole
che strugge i piccioncini in lontananza
che stravolge la mente degli amanti
tanto più violentemente quanto più è negato
dall’amato dalla mente o da varie circostanze
potrei dire ancora che consuma
e logora la vita al punto
che sono più bianchi i capelli delle madri
il loro volto in genere ha più rughe.

Potrei altrimenti dire che mi sta sul cazzo
quello che non c’è naturalmente tra le gambe
quello ideale che si cita nella locuzione popolare
per esprimere insofferenza insopportabile.

Ricordo la prima volta che ho sentito l’espressione
una collega l’ha rivolta a me personalmente
io novellina di lavoro non seppi nemmeno replicare
carente certamente di bagaglio culturale.

La verità è che bisogna esercitarsi ad essere volgare
come in amore esercitarsi ad amare
e raggiunto il livello di saturazione
traboccare.

Potrei dire ancora che non è gentile
come dice Livio nella sua scrittura
che morde alla testa d’Ugolino
che divora ogni ragione in gran tempesta.

Potrei dire ch’è feroce
che spende ogni risorsa del respiro
che s’abbarbica impossibile alle porte
che s’addossa e freme e fionda
che precipita di doglia
e scrive

Vorrei essere

Vorrei essere un papavero
coi suoi petali rossi velati
fragrante di peli sul gambo.

Vorrei sfiorire nel vento
in un alito d’oppio
innamorato del grano.

Oppure quel minuscolo uccello
annegato nel secchio dell’acqua
dove s’abbevera a sera il mio cane
un fagottino di piume
così piccolo e fragile
che la carcassa di sfalda
senza nemmeno un fetore.

Ora dico

Ora dico
non crederete che possa affliggermi
per tutti i morti.

Io che sto nel guscio come un uovo
che cedo armi e nome
anche la firma per esteso
e ogni specimen depositato
io che sparisco ancora
per mano ancora d’altro.

(ce ne fosse di uomini salati
ce ne fosse scampati all’ippocampo
ce ne fossero nel vertice e nel talamo)

Non posso affliggermi vi dico
per tutti quanti
quelli che la terra chiama
nel suo grembo fuso.

Solo talvolta se qualcuno m’ha sfiorato
con la mano sugli occhi del mio sonno
solo allora che il mio mondo sterile s’è sciolto
qualcosa smuove la carezza
che piange dei capelli
la scomparsa.

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