Accade che sia turbine (bozza)

Accade che sia turbine

mai detto di parole

traccianti rapidi nel vuoto

di pasta maneggiato impasto

per fame ingoiato in un boccone

sillabe sfreccianti  in segmenti

scorte di fretta  sopra il foglio

con la coda rapida dell’occhio

frastagliate di zig zag sull’orlo

sminuzzate a tocchetti

come tozzi di pane sbriciolate

molliche beccate dai colombi

a metà ingurgitate

imperfette scombinate

mai viste dissepolte innate

accade

che rinascano di getto

per pressione in schizzo verticale

dall’acqua ristagnante

esplose

nuove brillanti sfolgoranti

variopinte ricomposte lucide

danzanti

pulite libere ribelli

monde ed immonde risciacquate

accade che siano bocca

cerchi volanti di vocali

canti cantanti consonanti

gerundi di suoni e participi

e tutti in gamma a milioni i predicati

che si facciano fragole di bosco

indugino sul bianco delle labbra

tutte bianche di latte e belle

belle le parole belle

e belle anche le altre

quelle a forcipe estratte dall’eterno

partorendo di crepe

sulla lingua.

Labor mentis (definitiva)

a  D. C.

 

Nessuno che si pieghi

a interpretare un segno

a leggere di un nesso

le infinite chiavi

impiccato al soffitto

il corpo resta  esposto

di cronaca e di corda

croce del nulla estremo

vittima sepolta.

 

Al collo un nodo e al sesso

dicono d’ignoranza

per mille volte ammessa

altrettante infranta

povera mente umana

invasa di finitudine

nel buio insostenibile

la condanna.

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/persone/david-carradine/david-carradine/david-carradine.html

Labor mentis (bozza 2)

a  D. C.

 

Nessuno che si pieghi

a interpretare un segno

a leggere di un nesso

le infinite chiavi

impiccato al soffitto

il corpo resta  esposto

di cronaca e di corda

croce del nulla estremo

vittima sepolta .

 

Al collo un nodo e al sesso

dicono d’ignoranza

per mille volte ammessa

altrettante infranta

povera mente umana

soccorsa di finitudine

attesa che corrode

eterno insostenibile

che ci condanna.

Labor mentis ( bozza 1)

Nessuno che si pieghi

a interpretare un segno

a leggere di un nesso le infinite chiavi

precipitato il fatto

resta il corpo esposto

la cronaca  la corda

la base d‘ignoranza

l’umana finitudine

mille volte ammessa

e mille rinnegata

povera mente

che ci salva

che ci condanna.

Divino San Valentino (intermedia)

E’ per concerto mistico

che affiorano le virgole

a musicare un filone

impazzito di vertici d’amore.

Come cantano bene

le labbra innamorate

direi divinamente

proiettando visioni

per tumulto saporito della pelle.

Dagli spacchi succulenti

filtrano salmi

nel senso letterale della vita.

Muore la luce uccisa

sigillata sugli specchi

della carne.

Divino San Valentino (originaria)

Musicare un amore

così per cento scoppi

tafferugli di visioni

Impazzire sull’orlo di un’idea

trecento volte proiettata

sulla pelle.

Labbra innamorate

che filtrano parole dagli spacchi

laterali della vita.

Morire di luce uccisa

sigillata sugli specchi

della carne.

Divino S. Valentino (definitiva)

E’ per concerto mistico

che affiora l’infinito

a musicare iperboli d’amore

impazzito in vertici indicibili.

Come cantano bene

le labbra innamorate

direi divinamente

proiettando visioni  travolgenti

per tumulto saporito della pelle.

Dagli spacchi succulenti

filtrano salmi

nel senso letterale della vita.

Eppure muore la rosa uccisa

sigillata sugli specchi

della carne.

Semantica (intermedia)

Dire a cenni dopo vieni

e senza esempi

vieni

dentro il chiodo fisso

l’inazione

a spremere parole

di un tuo tremore autentico

nel sole

a tratti dormo

un sonno atrofico di valvole

slego il perdono dalle occhiaie

lo rivolgo dove cade

esattamente dentro

un torpore impraticabile

che assottiglia

l’indifferenza immane.

Semantica (originaria)

Dire dopo vieni

e senza esempi

vieni

dentro il chiodo fisso

l’inazione

resto in attesa di parole

rosse vive vere

di un tuo tremore autentico

nel sole

dormo

un sonno atrofico di valvole

e

chiedo perdono.

Semantica (definitiva)

Dice a cenni dopo vieni

e senza esempi viene

il chiodo fisso

l’inazione

a spremere le costole

di torpore insostenibile.

 

A tratti sporge un ricordo

atrofico di vertebre

occhiaie infantili ad ombreggiare

viola al di sotto delle palpebre

dove per errore cade l’orlo

più a destra del corpo

irraggiungibile

il confine tra le scapole.

 

Cola  verso il basso

l’indifferenza immane

dentro ovuli ostinati

vasche buchi otri

scomposti vuoti a perdere

che scoprono sul ventre

l’assenza

semantica di un nome

almeno ad alzo zero

o quasi senza.

 

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