Salutare non sature cose. che selvaggiamente erompono da un leggero multistrato di amianto. il metallo è un ricordo. di un treppiedi piantato al centro di un prato. i tubi di acciaio sono. dinamite esplodente. ho lasciato lungo un filare i miei passi. quelli che guidano ai padri. ai cipressi. ma qui la roccia spacca. non c’è ombra o sollievo. solo crepe di terra di pelle. come fratture del tempo le ginocchia piegate. la postura sbagliata è una vertebra curva del capo.
Preludio
provi una nausea leggera. come quando venisti al mondo. a guardarlo adesso come allora. c'è di stupefatto. solo il senso d'impotenza.
Fino al volo
le facce ad una ad una sono distanti. sempre più bianche. non hanno forma i nasi. non i colli. in massa gli ovali si addossano ai capelli. nei volti l’informe percezione dei miei occhi.
d’essere poeta. non l’ho desiderato. solo il divario cresceva. nella dura madre. fino al distacco dalla pianta. fino al volo. le radici come croci verso il cielo.
Passo di luce
il caldo scioglie la resina, l’asfalto, la granita nel bicchiere. lo schermo tenta inutilmente la frescura. filtra un chiarore implacabile che risolleva il giorno. da ieri risento le cicale. è il suono che rigenera l’estate. spaccando la terra. la sua inestinta arsura.
mia massacrata terra. riarsa al solleone. ardente di radiche e vendette. crudele madre massacrata. di crepe e di purezza. bianche le rocce a sconfiggere le nuvole. un ammasso sferico di bolle. candide e imprendibili. il nulla che si specchia negli occhi della mantide.
poi c’è il terzo passo. quello che afferra la distanza. che dal tempo del passaggio rivendica lo stretto. e non è l’acqua. non è l’aria. non i campi non la macchia. non il vento del mediterraneo. ma è qualcosa che prende nel respiro. limpido su un’isola. e lo fa grande azzurro vivo.
Tutto tace
tutto tace. non parla il mostro dentro. non il santo non il vate. tutto tace. non fiorisce una rosa o la parola. nè l’anima la segue. e il rumore che c’è intorno è meno di un sussuro. uno sbadiglio.