Più voci per un poeta: Rocco Scotellaro. Nel centenario della nascita

Oggi è il centenario della nascita di Rocco Scotellaro, un mio articolo su Limina mundi lo ricorda. La sua storia, le sue poesie, le mie immagini.

LIMINA MUNDI

Nel 1923, il 19 aprile di cento anni fa, a Tricarico in provincia di Matera nasceva Rocco Scotellaro. Poeta, politico e scrittore italiano. Appena trent’anni dopo Rocco sarebbe morto per un infarto, ma certo la sua non può dirsi una vita sprecata.
Nato da una famiglia di umili origini, il padre calzolaio, la madre sarta, fu indirizzato dalla famiglia agli studi, essendo versato in letteratura, s’iscrisse al Liceo Classico presso i Padri Cappuccini e per permettergli di proseguire gli studi tutta la famiglia si trasferì a Sicignano degli Aburni, in Campania.
Trento, Tivoli, Potenza, Napoli, Bari, Cava dei Tirreni sono città dove ha lo hanno portato i suoi viaggi per l’Italia per studio e lavoro. Al termine del Liceo intraprese gli studi di Giurisprudenza alla Facoltà la Sapienza di Roma, ma in lui si accese la passione politica e, senza giungere a laurearsi, decise di impegnarsi attivamente, iscrivendosi al Comitato…

View original post 1.022 altre parole

Ciao Monica

LIMINA MUNDI

Poco più di un mese fa, il 2/2/2022, a Roma è scomparsa l’attrice italiana Monica Vitti, all’anagrafe Maria Luisa Ceciarelli. Premiata con 5 David, 12 Globi d’oro, 3 Nastri d’argento. Sebbene poco nota ai più giovani perché ritiratasi a vita privata da circa vent’anni, è una figura rappresentativa del cinema italiano nel mondo, non meno di Sofia Loren, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida, Mariangela Melato.

Attrice di cinema e mattatrice della commedia italiana, versatile e talentuosa, capace di essere considerata al pari di attori quali Alberto Sordi, Marcello, Mastroianni, Nino Manfredi, cioè di figure maschili che hanno dominato la scena cinematografica degli anni 60-80.

Maria Luisa Ceciarelli divenne Monica Vitti nel 1953, ispirandosi al cognome della madre, Vittigli, scegliendo un nome che aveva letto poco prima in una rivista, seduta a un bar vicino a casa. In un nome può esserci un destino? Sarebbe stata ugualmente famosa mantenendo il nome anagrafico?

View original post 1.081 altre parole

Uno dopo l’altro

Uno dopo l’altro muoiono i poeti

pare si ritrovino nell’oltre

che è non si sa bene dove

pubblicati e impubblicati

minuscoli e ignorati

negati e rinnegati

suicidi e suicidati

tutti si ritrovano

dove non ci sono né piccoli né grandi

né accade come alcuno dice

che gli ultimi siano i primi

né che le pietre scartate siano testate d’angolo

perché non c’è edificio di mattoni

lì dove sono

ma sono loro l’edificio

un solo corpo unanime

senza carne ossa sangue.

Omaggio a Mark Strand

The end

Not every man knows what he shall sing at the end,
Watching the pier as the ship sails away, or what it will seem like
When he’s held by the sea’s roar, motionless, there at the end,
Or what he shall hope for once it is clear that he’ll never go back.

When the time has passed to prune the rose or caress the cat,
When the sunset torching the lawn and the full moon icing it down
No longer appear, not every man knows what he’ll discover instead.
When the weight of the past leans against nothing, and the sky

Is no more than remembered light, and the stories of cirrus
And cumulus come to a close, and all the birds are suspended in flight,
Not every man knows what is waiting for him, or what he shall sing
When the ship he is on slips into darkness, there at the end.

Mark Strand

La fine

Nessun uomo sa cosa cantare alla fine
guardando il molo come nave che salpi o qualunque cosa sembri
quando egli è rapito dal ruggito del mare,  immobile, lì alla fine
o cosa sperare essendo chiaro ormai che non tornerà più indietro

Quando il tempo trascorre potando le rose o accarezzando il gatto
mentre il tramonto incendia il prato o la luna piena imbianca la terra
non sembra lungo, nessun uomo invece sa cosa troverà
quando il peso del passato  sporge  tra il nulla e il cielo

Non c’è altro che il ricordo della luce e trame di cirri
nuvole che si chiudono dense e uccelli sospesi in volo
nessun uomo sa cosa l’aspetta o cosa cantare
quando la nave scende nell’oscurità, lì alla fine

(Mark Strand traduzione di Loredana Semantica)

 

Nessun uomo sa cosa cantare alla fine
guardando il molo come nave che salpi, ché così gli sembrerà
quando rapito dal ruggito del mare, è immobile, lì alla fine
o cosa sperare essendo chiaro ormai che non tornerà più indietro

Il tempo non sembra lungo quando trascorre potando rose
o accarezzando il gatto, contemplando il tramonto che incendia il prato
o la luna piena che imbianca la terra, nessun uomo invece sa cosa scoprirà
quando il peso del passato sporge tra il nulla e il cielo

Non c’è altro che il ricordo della luce e trame di cirri
nuvole che si chiudono dense e uccelli sospesi in volo
nessun uomo sa cosa l’aspetta o cosa cantare
quando la sua nave scivola nell’oscurità della fine

nuova traduzione del 20.9.20

Se hai un nome

L’undici maggio di quest’anno è morto un poeta
nato come me nel millenovecentosessantuno
io non lo conoscevo
ma questo poco importa
chissà quanti poeti non conosco
lui però scriveva bene
e firmava col suo nome
un nome da poeta:
Stefano Leoni.

Se hai un nome esisti
se hai un nome ti chiamano col nome
e anche se muori ci sei oltre la pietra
il tuo dire è figura
corpo con scheletro a contorno
hai occhi bocca orecchie
fronte labbra sopracciglia
arti mani e tronco
dita
come fossero icone con un orlo
impalcatura che articola gli snodi
ceppo di legno che sostanzia
sagoma a substrato d’ossa.

E’ bello avere un nome
essere nuda faccia coi capelli
sentirsi nominare come.

Dopo Auschwitz

«“Come si fa a scrivere una poesia dopo Auschwitz?” chiese Adorno […] “e come si fa a fare pranzo dopo Auschwitz?” obiettò una volta Mark Strand. Comunque sia, la generazione a cui appartengo ha dimostrato di riuscire a scrivere quella poesia» (Iosif Brodskij, Discorso per il Nobel, 1987) continua a leggere

Elio Pagliarani, un omaggio

tratto da qui

E’ mancato Elio Pagliarani, uno dei maggiori poeti del secondo novecento.
Pubblico su Blanc il paragrafo dedicato alla sua ragazza Carla, uscito su Scritti nomadi (Anterem 2001), all’interno di una riflessione sui Novissimi
La ragazza Carla o della parola che salva
L’originalità della Ragazza Carla la colse bene Geno Pampaloni (“Epoca”, 15/6/62), quando riconobbe ad Elio Pagliaraniil merito di avere “intuito un uomo diverso”, preso “nel cerchio dell’alienazione”, eppure vivo, ancora capace d’opporre, istintivamente, la propria singolare esistenza alla storia universale.

La peculiarità di questa opposizione, lo sottointende lo stesso Pampaloni, esula tuttavia da ogni dialettica, da ogni possibile riscatto; lo si comprende appieno – e da qui cominciamo l’analisi – leggendo l’ultimo coro del poemetto:
non c’è risoluzione nel conflitto
storia esistenza fuori dell’amare
altri, anche se amore importi amare
lacrime, se precipiti in errore
o bruci in folle o guasti nel convitto
la vivanda, o sradichi dal fitto
pietà di noi e orgoglio con dolore.
(La ragazza Carla, III, 7)

Wislawa Szymborska. Discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel

tratto da qui

In un discorso, pare, la prima frase è sempre la più difficile. E dunque l’ho già alle mie spalle… Ma sento che anche le frasi successive saranno difficili, la terza, la sesta, la decima, fino all’ultima, perché devo parlare della poesia. Su questo argomento mi sono pronunciata di rado, quasi mai. E sempre accompagnata dalla convinzione di non farlo nel migliore dei modi. Per questo il mio discorso non sarà troppo lungo. Ogni imperfezione è più facile da sopportare se la si serve a piccole dosi.  continua a leggere

I bambini di Terezin

tratto da qui

Mai scenda il silenzio

“La memoria costruisce templi contro la morte. Dio non è che materia filata dai ricordi.”

(In memoria di M.M. e A.M.)

    Il ghetto di Terezin durante la seconda guerra mondiale fu il maggiore campo di concentramento sul territorio della Cecoslovacchia. Fu costruito come campo di passaggio per tutti gli ebrei del cosiddetto “Protettorato di Boemia e Moravia”, istituito dai nazisti dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, prima che gli stessi venissero deportati nei campi di sterminio nei territori orientali. Più tardi vi furono deportati anche gli ebrei della Germania, Austria, Olanda e Danimarca. Nel periodo in cui durò il ghetto – dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l’8 maggio 1945 – passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezin perirono circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone. continua a leggere

Con Luigi

Con luigi c'incontrammo nell'equivoco
discorrendo di cavalli e di quasimodo
lui che diceva piove persino ed è domenica
su di me che sono "tuttoscritto mortalissimo"
a persistere "nell'anormale"
"a scrivere stronzate"
sino alla fine "prossima.
non dovendo ormai vivere a lungo
il delirio del sonno d'Iddio".
Oggi ch'è il suo risveglio
con gli altri tutti poeti
là fuori piove
anche se non è domenica. 

http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/marche/2011/02/23/visualizza_new.html_1583964136.html

http://ellisse.altervista.org/index.php?%2Fplugin%2Ftag%2Fluigi+di+ruscio 

 

Cerco una conclusione, finalmente

« La poesia non è una cosa morta, ma vive una vita clandestina»

che cosa fai? ( mi dicono sovente ): io rispondo niente (qualche volta):

[ oppure

rispondo invece (qualche volta) niente:

e certe volte dico: troppe cose, per

[ dirtele

(niente però che importa: e niente poi nemmeno che mi importa):(considerato

[ che,

tira e molla, non m’importa di niente): (seguo soltanto, tante volte, appena,

questo basso bisbis di un bisbidis, che mi ronza qui dentro, debolmente, senza,

neanche più diventarmi parola, frase, verso):

cerco una conclusione, finalmente:

 

Edoardo Sanguineti, poeta, scrittore, Genova, 1930 – 18 maggio 2010

In fondo al mare

I miei occhi giacciono

in fondo al mare

nel cuore delle alghe

e dei coralli.

                 Peppino Impastato

 

In memoria

In fondo al mare

i suoi occhi

sortiscono l’abisso

curva di destino avverso

come innocente capretto

innato collo al ceppo

cima che stringe il cappio

áncora nel nero

ma se dire possiamo un fosso

farsi bene o solco o seme

se germoglia il sangue

rinato dagli anfiossi

dal cuore delle alghe

di fuoco si fa il rosa

dei coralli.

 

25 aprile

Ginestra stellata

Fiore di libertà

Rocciosa arbustiva

abbarbicata pianta

che della resistenza

s’investe il tuo profumo

per giallo imperioso

che sfolgora nel sole.

Se le radici s’infossano potenti

se testano la penetranza a terra

nel cielo attorno ai rami 

liberi si slanciano

prati infiniti e verdi

aperti spazi azzurri.

Perenne eretto temperato

sguardo

cespuglio selvaggio

del respiro.

In memoria

 

In ricordo di Alma

Alma Rosenblum,
chissà se ancora pizzichi il violino
nell’aldilà della tua beatitudine,
se leggera libri il corpo al suono.
Il vecchio giornalista berlinese
al suo compleanno
ti descrisse come un angelo
e ci parlò della dolce Fedora
che ti accompagnò a quel concerto
di morte.

Sharon 

Murata al vento
Piangevi
e ti sputavano addosso.
Le tue mani lisciavano crani
e patte rigonfie di divise.
Nel buco delle loro orecchie
Lavorava la tua lingua.
Dalle loro bocche brutte
Ascoltavi:
“La vostra umanità
È la sigaretta tra le mie dita”.

poesie di Prisco De Vivo tratte da qui

E' morta Alda Merini, una vita di poesia

la Repubblica.it
MILANO – E’ morta a Milano la poetessa Alda Merini. Aveva 78 anni. Era ricoverata all’ospedale San Paolo da una decina di giorni per un tumore osseo. Viveva in condizioni di quasi indigenza (una scelta di vita basata su una sorta di "noncuranza") tanto che i pasti quotidiani le venivano portati dai servizi sociali comunali. Ha cantato gli esclusi e ha vissuto sulla sua pelle una delle peggiori forme di esclusione: la malattia mentale.  Leggi ancora

http://tv.repubblica.it/copertina/merini/38577?video

 

Versi per la libertà

testo tradotto

Ammanettate il vento
se credete
che vi scombina i capelli
il vento che entra nelle  case
per consolare il pianto
il vento che entra nelle case.

Ammanettate il pianto
se credete
di quietare il mondo
il pianto che matura nei petti
e distrugge le mura e spegne le candele
e distrugge le mura e spegne le candele.

Ammanettate la fame
se credete
di difendervi i galloni
ma la fame non ha braccia
il pianto non ha vergogna
ma la fame non ha braccia
il pianto non ha vergogna
il vento non conosce sbarre.

Ammanettate le ombre
che di notte vanno nei giardini
a mettere bandiere sopra le pietre
e chiamano a voce forte le madri
che non hanno più sonno
e vegliano dietro le porte
ammanettate i morti.
Ammanettate i morti
se credete.

Ora (omaggio a Mario Benedetti e Idea Vilariño)

Corriere della Sera.it
DAL BLOG "POESIA" DI OTTAVIO ROSSANI

Il poeta/romanziere Mario Benedetti e la poetessa Idea Vilariño, entrambi uruguayani, recentemente scomparsi, saranno  ricordati questa sera, 24 giugno, alle ore 18, a Roma, nell’Istituto Italo-Latino Americano (Palazzo Santacroce – piazza Benedetto Cairoli 3 – tel.: 06.684921), per iniziativa dell’IILA, l’Ambasciata dell’Uruguay  e l’Instituto Cervantes. continua a leggere 

Labor mentis (definitiva)

a  D. C.

 

Nessuno che si pieghi

a interpretare un segno

a leggere di un nesso

le infinite chiavi

impiccato al soffitto

il corpo resta  esposto

di cronaca e di corda

croce del nulla estremo

vittima sepolta.

 

Al collo un nodo e al sesso

dicono d’ignoranza

per mille volte ammessa

altrettante infranta

povera mente umana

invasa di finitudine

nel buio insostenibile

la condanna.

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/persone/david-carradine/david-carradine/david-carradine.html

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.

Su ↑