La risata

Umberto Boccioni, La risata

“Allora mi scusi” lei disse e chiuse, schiacciando il tasto di fine conversazione. Poi cominciò a sorridere, come solo lei sapeva, irresistibilmente, sollevando gli angoli delle labbra, cercando di trattenersi senza riuscirvi. Sempre sorridendo cominciò a muoversi rapidamente, a riordinare cose inutili, facendo la cosa più inutile del momento, visto che il resto del corpo non smetteva di ridere, il suo cervello non smetteva di ridere ed il cuore pure rideva, di un riso invincibile, liberatorio. Il riso trametteva alla pelle un tremore particolare e il tremore si propagava all’interno, come un movimento tellurico che frollava la carne a budino, privandola di vigore. All’esterno intanto la bocca, ormai scopertamente aperta, rideva e non solo quella. Anche le mani si misero a ridere, a cominciare dalle unghie, che si sollevarono contemporaneamente dalla falange di colpo, restando attaccate per la rima alla base dell’unghia, poi ricaddero giù sulla carne al di sotto e, ridendo, si aprivano e chiudevano come labbra di un pupazzo di pezza tutto bocca.

Sotto i seni si spalancarono aperture di bocche a risata tremolanti e dietro le orecchie, nel punto in cui la cartilagine si attacca alla testa, si formarono altre crepe risolenti. A seguire iniziarono a ridere gli incavi di gomiti e ginocchia, si spaccarono in una ferita incisa nella piega di gambe e braccia in perpedicolo alla linea degli arti. I lembi dell’incisione sembravano labbra che si aprivano e chiudevano come le valve di una vongola, e intanto sul fondo si sentiva il gorgolio del riso. Bocche si aprirono anche sotto le ascelle, cominciando a ridere sommessamente e poi fu la volta delle pieghe dell’inguine che, sgomitanndo verso la vagina, ridevano sguaiatamente. La vagina dal canto suo già rideva da un pezzo, nascosta dalla biancheria di pizzo, aveva già cominciato per prima, prima ancora della bocca posta al centro della faccia. Gli occhi invece restavano seri, mentre altre pieghe del corpo seguirono la stessa sorte. Quelle tra le dita dei piedi e delle mani si aprirono al riso, quella al fondo della schiena si scucì come il fondo di un pantalone liso. E rideva.

Dalle bocche spalancate non fuoriusciva sangue, ma stillava una sorta di liquore cristallino che, simile alla saliva, dal centro trasudava trasparente, agli angoli schiumava biancastro e ristagnante.

La risata, ormai disseminata in ogni piega, faceva vibrare i muscoli diventati di gelatina. Ad un certo punto la vibrazione della carne si fece squassante, cominciò a tramettersi alle ossa, demolendone la struttura, rendendole dapprima elastiche poi friabili come grissini. E mentre il riso ormai riempiva la stanza e il corpo era una massa di bocche in vibrazione, si ruppero i giunti e i legamenti, le ossa cedettero di colpo, la massa gelatinosa precipitò verso i piedi, spiaccicandosi in una pozzanghera di melma rosa. Lei allora si alzò, prese uno straccetto da cucina, asciugò la macchia di riso per terra e andò in piscina.

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